Parola

Perché sorgono dubbi nel vostro cuore?

14 aprile 2024 – III Domenica di Pasqua
Prima Lettura: At 3,13-15.17-19
Seconda Lettura: 1Gv 2,1-5
Vangelo: Lc 24,35-48

Essere presenti ad un evento non significa che necessariamente capire cosa stia accadendo. “Abbiamo vissuto l’esperienza ma non ne abbiamo colto il significato” – potremmo dire spesso anche noi a proposito di ciò che accade.
Questo dev’essere stata l’esperienza dei discepoli davanti alla morte e alla risurrezione di Cristo. Hanno avuto l’esperienza, ma non ne hanno colto pienamente il significato fino a quando Gesù non ha risvegliato le loro menti alla comprensione delle Scritture. I discepoli di Emmaus, per esempio, rappresentano perfettamente questo fenomeno: erano a Gerusalemme durante il processo, la condanna e la morte di Gesù; la mattina del primo giorno dopo il sabato avevano incontrato le donne e avevano avuto l’informazione che il sepolcro era vuoto; sapevano che Pietro e Giovanni erano andati a verificare e non avevano trovato il corpo di Gesù. Nonostante questo, perdono ogni speranza e decidono di tornare al loro villaggio.
Sulla strada, però, Gesù si unisce a loro, ma non lo riconoscono. Raccontano a quel nuovo compagno di viaggio quello che è successo a Gerusalemme e come siano rimasti delusi. Quando quell’uomo comincia a illustrare le Scritture e condivide con loro il pane, improvvisamente lo riconoscono e comprendono tutto il senso degli eventi trascorsi.
Noi possiamo contemplare la Parola fino a farne il nostro lessico quotidiano, ma non basta e non è garanzia di comprensione; la grammatica e la sintassi di questa Lingua Madre si articola nel gesto materiale che nutre proprio quella persona che sta lì accanto a noi, in carne ed ossa, e ci sta chiedendo se abbiamo qualcosa da mangiare. Non è detto che chi ci sta accanto abbia solo fame materiale, la fame può essere molto più vasta: di ascolto, di comprensione, di sostegno, di desiderio di donare, in una parola di amore. Il fatto di condividere sia la fame che il rimedio, sia il bisogno di pane che il condividerlo porta gioia, serenità e pace: di questo siamo testimoni.
Già il profeta Isaia diceva di queste parole: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Isaia 55,10-11). È il caso di dire che questa profezia si realizza continuamente e si è realizzata anche nel caso dei discepoli di Emmaus: “lo riconobbero allo spezzare il pane”. Davanti al gesto materiale del Cristo, che permette di saziare quel desiderio d’amore e di pace, scatta la comprensione.
L’atteggiamento del Cristo non è etereo e spiritualizzato; quando appare agli apostoli loro pensano di vedere uno spirito (cfr Lc 24,37), invece veniamo decisamente ricondotti alla materialità più radicale del corpo: “Toccatemi e guardate, perché uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che ho io” (Lc 24,39).
La risurrezione di Cristo non è questione di sola spiritualità, tanto meno di raccoglimento “beato” e distante da ogni preoccupazione arrecataci dai nostri simili;  noi crediamo nella risurrezione della carne, perché noi stessi continuiamo a vivere tramite il Cristo, esattamente come i discepoli di Emmaus.
Non ci illudiamo di comprendere le Scritture nella totalità del loro significato, non solo perché non siamo teologi, ma perché pensiamo che non si possa afferrare l’infinito, né con la mente, né con il cuore. Abbiamo, però, l’esperienza dell’amore, e anche quella di essere stati perdonati della nostra incomprensione passata. Anche di questo siamo testimoni; non solo, crediamo anche che diventare testimoni sulla via indicata dal Vangelo sia possibile per tutti, anzi cosa già preparata per molti. Nel Vangelo di questa domenica è Gesù risorto che chiede da mangiare, a conferma della sua rinnovata corporeità e della continuità della comunione con i discepoli.
Condividere il cibo con il Cristo (e a quel qualcuno che lo rappresenta in questo momento accanto a noi) è tutto ciò che è necessario fare.
Il Signore apra la nostra mente e il nostro cuore alla comprensione delle Scritture, perché nulla ci faccia dubitare del suo amore e ci renda testimoni capaci di gioia, di libertà e di speranza. 


NB: per leggere la riflessione del 18 aprile 2021 clicca qui

Puoi leggere anche qui sotto la riflessione del 10 aprile 2018, scritta e pubblicata la prima volta su CDSR

Passaggi

Da tempi immemori esistono le scuole e le università.
Nella scuola, nelle scuole, nelle università, quella della vita quotidiana inclusa, le persone tentano probabilmente di fare del loro meglio.
Ciononostante…

…da tempi immemori esistono i “refrattari”: quelli che le scuole e le università spesso le hanno subite o fuggite o mal digerite o vissute come una corvée, un pedaggio, un casello autostradale.

Come si spiega? Tutti riluttanti ad imparare o ad insegnare?

Se mi volto indietro e guardo alla mia esperienza da studente mi rendo conto che tante cose non le ho mai imparate anche se le ho studiate, anche se ho passato tutti gli esami.
Da cosa è dipeso? Cosa cercavo?
Scorciatoie? Soluzioni? Promozioni? Diplomi? Lauree? Titoli?
Di una cosa sono certo: non ho mai cercato padroni, così come immagino non cerchino padroni molti di quelli che studiano nelle scuole o nelle università.
Da studente cercavo solo persone che mi aiutassero a compiere dei passaggi: sapevo che dopo sarei approdato da qualche parte, per poi ripartire.

Chi può insegnare qualcosa a qualcuno?
Non un guardiano del tempio certamente, piuttosto qualcuno che contribuisca a fare della cultura, delle conoscenze e dei saperi non un patrimonio elitario da lasciare in eredità ai propri discendenti, ma un carburante per aiutare a camminare con dignità uomini e donne.
Insegnamento significa fornire strumenti e risorse per i giorni di carestia come per i giorni di abbondanza.

Voglio fare un altro passo su questo sentiero per addentrarmi nella questione della trasmissione del messaggio evangelico.
Credo che parecchi studenti cerchino non tanto chi possiede particolari messaggi più o meno iniziatici da consegnare o da recapitare, ma qualcuno che possa farsi egli stesso messaggio, qualcuno, finalmente, in cui si confondano gesto e parola, qualcuno che consideri la Parola non come un affare solo teorico, ma piuttosto come una realtà viva: sangue nelle vene e aria nei polmoni.

Gesù che si avvicina ai discepoli di Emmaus mi ricorda che la trasmissione della fede è soprattutto un movimento, un passaggio, un dare qualche cosa a qualcuno e, allo stesso tempo un ricevere.
Non è certo facile e scontato essere qualcuno che passa, non identificarsi con qualcuno che istruisce o catechizza, ma essere qualcuno che “lascia andare” i discepoli, che “non li trattiene”, che affida loro delle “verità”, non perché cerca seguaci (così come i discepoli non cercano padroni), ma perché sa che i discepoli hanno la dignità degli spiriti liberi, con tutta la fragilità che ne consegue.Ci sono tante forme di trasmissione dei saperi e delle arti, tante forme di scuola, una di queste che più si avvicina al nostro scopo, è quella che vorrei chiamare “scuola della compagnia”; il suo tratto distintivo è l’essere, il trovarsi – sempre – nella prossimità dei gesti e delle parole.
Se così accade, allora si può elaborare conoscenza, l’esperienza diventa arte e il sapere può dare sapore e gusto ai giorni, trasformandosi in passione per la ricerca, affinché qualcosa accada, afferri, prenda, susciti il bisogno di andare oltre, di fare il passo in più, di seguire per aprire sentieri nuovi.
Il discepolato è una dimensione partecipata di contrasto a schemi e luoghi comuni; Gesù si è spinto oltre i confini, ha affrontato i poteri allora presenti, ha sfidato le corruttele ed ha insegnato ai suoi discepoli a contrastare le norme e le pratiche culturali che riteneva inadeguate, lesive della dignità delle persone, non in linea con il comandamento nuovo.
Gesù chiedeva (e chiede) ai suoi discepoli di essere presenze significative, feconde, creative in un mondo caotico che rischia di chiudersi in sé stesso, lacerato dai conflitti, dalle controversie e dal disprezzo regnante.
Occorre riprendere a camminare in compagnia nella mischia, nella Galilea delle genti, ad esserci con passione per disimparare e ricominciare a dire. Forse è questo il senso del “Noi speravamo che…” e di “Allora aprì loro la mente per comprendere…” (Lc 24, 21 e 46).
Solo così, credo, si possa ritornare a spezzare il pane, a ravvivare la speranza e a rinnovare il passaggio del testimone.

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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