Pace e perdono

Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch’io mando voi

7 aprile 2024 – Ottava di Pasqua
Prima Lettura: At 4,32-35
Seconda Lettura: 1Gv 5,1-6
Vangelo: Gv 20,19-31

L’atteggiamento  di Tommaso è emblematico del dubbio sulla reale risurrezione di Gesù: Tommaso finora non lo ha visto risorto e non lo ha visto neanche morto, perché non era sul luogo della crocifissione, sul Golgota.
Cosa significa esattamente tutto questo? Di quale dubbio stiamo parlando? Tommaso, e tutti quelli che hanno dubitato e dubitano come lui, ha un dubbio solo sulla risurrezione?
Intanto va detto che non è il solo discepolo ad avere questo problema, perché Matteo scrive: “Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano” (Mt 28,16-17).
E Marco aggiunge: “Maria andò ad annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere” (Mc 16,10-11).
E Luca insiste: “Tornate dal sepolcro, annunciarono tutte queste cose agli undici e a tutti gli altri. Quelle che dissero queste cose agli apostoli erano: Maria Maddalena, Giovanna, Maria, madre di Giacomo, e le altre donne che erano con loro. Quelle parole sembrarono loro un vaneggiare e non prestarono fede alle donne”. (Lc 24,9-11).
Si tratta di citazioni tratte dagli ultimi capitoli di ciascuno dei primi tre Vangeli.
Forse vale la pena guardare un po’ oltre. Qui non si tratta del dubbio metodico del processo scientifico, utilissimo perché la scienza si evolva, ma non dovrebbe essere neanche l’esito di quella debolezza umana che assurgendo a misura di tutte le cose, dà credito solo a ciò che, dall’interno del proprio limite, riesce a concepire.
Torniamo alla situazione di Tommaso. Pone una condizione chiara per poter credere che Gesù sia risorto: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò”.
Innanzi tutto direi che chiedere di vedere e toccare quelle ferite  significa non riuscire neanche a “metabolizzare” la morte del Maestro: come è possibile che sia stato crocifisso? Credo sia comune esperienza non riuscire ad abituarsi all’idea della scomparsa di una persona cara, soprattutto se non la si è vista morta e, in alcuni casi, non si è vista neanche la tomba. Forse è anche per questo che conserviamo l’abitudine di allestire la camera ardente, appunto per dare ai vivi l’occasione di un ultimo saluto consapevole.
Fin dall’inizio del cristianesimo, anche la morte di Gesù ha posto un problema: molti non potevano e non volevano credere che colui che era considerato il Messia, il Salvatore del mondo, perfino il Figlio di Dio, potesse morire crocifisso come un bandito. Giovanni stesso, che al momento della crocifissione era presente, autentica la testimonianza della morte di Gesù nel suo vangelo, proprio perché subito ci furono persone che preferirono metterla in dubbio. Questa testimonianza, Tommaso, l’accetta? Ci crede? Sicuramente quella della risurrezione proprio no.
Qui bisogna capire bene la situazione di Tommaso: aveva avuto bisogno di sentire quello che era successo alla croce perché in quel momento non era sul posto. Come mai?
Per paura: era fuggito quando i soldati avevano arrestato Gesù, come quasi tutti gli altri discepoli; solo Pietro e un altro, di cui non sappiamo il nome, avevano seguito Gesù fin da Pilato. Non molti avevano osato andare alla croce, quindi, per i discepoli, specialmente per gli undici (eccetto Giovanni, che era rimasto fino alla fine con le donne), vedere Gesù risorto non era solo avere la certezza di un incredibile miracolo, ma anche rivedere il Maestro che avevano lasciato solo e passare attraverso la prova di questo incontro. Il Maestro risorto avrebbe perdonato la vigliaccheria? Pensiamo anche che Tommaso è quello che aveva detto, quando Gesù era andato a trovare Lazzaro ormai morto e tutti pensavano che stava rischiando di essere arrestato o lapidato, “Andiamo, anche noi, a morire con lui” (Gv 11,16). Come si dice, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: per tutti noi.
Io credo che Tommaso non osasse immaginare che Gesù lo perdonasse, e ipotizzo questo perché quando Gesù risorto appare per la prima volta ai discepoli – e Tommaso non c’è – dona la pace, lo spirito e la facoltà di rimettere o non rimettere i peccati. Si tratta, dunque, di un testo in cui il tema della pace è connesso al perdono ed è legato alla possibilità donata ai discepoli di rimettere i peccati.
Non dovremmo dimenticare che c’è un altro discepolo che patisce un fortissimo rimorso nei confronti di Gesù per motivi ben più gravi: Giuda. Quando si era reso conto di averlo venduto a chi voleva ucciderlo, aveva cercato il perdono presso i sommi sacerdoti, restituendo i soldi (cfr Mt 27,3-5) e quelli gli avevano risposto: “Come ci riguarda? Sei tu che lo hai tradito e venduto”. A quel punto, Giuda, gettate le monete nel tempio, va a togliersi la vita. Quindi non solo non vede crocifiggere Gesù, ma non può neanche vederlo risorto come gli altri. Probabilmente non aveva mai compreso fino in fondo l’amore di Gesù e non poteva perciò neanche immaginare che il Cristo in croce perdonasse tutti coloro che avevano collaborato alla sua condanna. Il Cristo, invece, è morto anche per loro.
Giuda non poteva ricevere un perdono per lui inimmaginabile, e, pentendosi amaramente da solo, si è anche condannato da solo, non avendo potuto offrire a se stesso alcuna possibilità di redenzione e di vita.
Comprendiamo quanto sia vitale porci, da credenti, la domanda su quanto sia solida la nostra fede, sul tema del perdono predicato dal Cristo? Nessun Dio potrà perdonare un uomo che non accetti il perdono. Autocondannarsi, quando il Cristo propone il perdono, è far franare il castello di una fede costruita sulla sabbia.
L’apparizione di Gesù ai discepoli è un segno del perdono che Dio ha concesso loro per aver abbandonato suo Figlio alla morte. Ed è per questo motivo, credo, che alla seconda apparizione, quando c’è anche Tommaso, lo stesso Tommaso grida, vedendo Gesù, non “Credo che sei risorto”, ma “Mio Signore e mio Dio!”.  Da bravo israelita, Tommaso sa che solo Dio può perdonare i peccati e capisce che Gesù è tornato per lui. Perché gli fosse chiaro di essere stato perdonato.
Il significato della resurrezione non consiste “soltanto” nella promessa della vita eterna e nella manifestazione del soprannaturale, ma nella fedeltà di Dio agli uomini. Il Signore crede nell’uomo che ha creato, ma l’uomo non crede in Dio, perché non crede in se stesso e non può mettersi sulla via della conversione e della pace da solo.
È su questa primaria, drammatica base che viene costruito ogni dubbio sulla resurrezione del Cristo.
Il dubbio viene a rimettere in questione, nel nostro cuore, la dignità della nostra umanità, che, per i suoi discepoli, consiste nel perdono e nella pace loro donata da Dio in Gesù Cristo.
Gesù è vivo, la nostra vita sulla terra è donata, convalidata e giustificata, perché Dio ci perdona attraverso la risurrezione di Gesù. Quando il dubbio ci assale, è questo ciò che viene messo in discussione.
Ecco perché non posso davvero essere d’accordo con l’affermazione che il dubbio fa così tanto parte della fede, che è una garanzia della sua autenticità. Il dubbio è un dolore, una enorme sofferenza, ma anche una terribile tentazione. Ci potranno essere momenti di prova e di dubbio, nessuno è esente, ma non credo assolutamente che proprio quei momenti garantiscano l’autenticità della mia fede.
Per questa ragione non voglio fare alcuna morale sul dubbio, e neppure dire che dubitare è sbagliato. Direi piuttosto che dubitare fa male. Ma se anche i discepoli hanno dubitato, non avrò io la tentazione di considerarmi migliore di loro.
Sapere che Gesù ha potuto tornare da Tommaso, nonostante il dubbio di questo discepolo “realista”, è per me un punto di riferimento fondamentale.
Dio non è un’idea, un concetto. Sta accanto a me e quando si alza la tempesta della prova è al mio fianco come una persona vivente, perché è venuto in Gesù Cristo.

NB: per leggere l’articolo dell’11 aprile 2021 clicca qui

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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