7 maggio 2023 – V Domenica di Pasqua
Vangelo: Gv 14,1-12
Seconda lettura 1 Pt 2,4-9
È difficile ottenere un succo di mango da un limone. Una carota non può dare il succo d’uva. Seguire Gesù, non dovrebbe essere difficile, ma capita di non riuscirci fino in fondo. Capita anche di cadere. La differenza sta nel lasciarsi rialzare e nel non voler lasciare se stessi a terra.
Abbiamo la responsabilità di proclamare la bontà di Dio attraverso la vita e le parole.
Siamo nella giusta direzione?
Gli eventi portano ancora alla ribalta il problema del fondamentalismo.
Se leggiamo sull’enciclopedia Treccani il significato del termine, troviamo accezioni diverse. Ne trovo una “generica”, dopo le prime riguardanti il fondamentalismo religioso. Mi fermo su questa: “l’atteggiamento di chi persegue un’interpretazione estremamente conservatrice e un’attuazione rigida e intransigente dei principî di una religione, di un pensiero politico, e simili; il termine è talora usato come sinonimo di integralismo…”.
Se andiamo a cercare “integralismo” il significato, al di là dei riferimenti storici a correnti di pensiero, cambia di poco.
In ogni caso, il fondamentalismo è sempre stato in mezzo a noi, esisteva ed esiste in diverse forme che hanno una nota in comune: ci sarebbe sempre un solo modo per essere nella verità e questo “unico modo” diventa poi portatore di morte, sfocia in una dittatura del pensiero che riverbera anche sui corpi delle persone.
Quando si è sensibili agli eventi e aperti alla verità delle cose, ci si rende conto che la vita non segue un percorso lineare. Quando guardo a tutti coloro, giovani soprattutto, che cercano di integrarsi e crescere nella società di oggi, per non rimanere isolati, penso che hanno davanti percorsi impervi e complicati. Provano in un modo, poi magari in un altro e un altro ancora. Vedo persone che abbandonano gli studi, fanno esperienze lavorative per poi magari tornare a studiare e a lavorare. Sono percorsi multipli, con svolte, ritorni, marce indietro e fughe in avanti. Talora sono sconcertato, ma è molto chiaro che tutti noi abbiamo o abbiamo avuto i nostri “vai e vieni”.
Eppure, nella casa di Suo Padre ci sono diverse dimore, altrimenti avrebbe mai detto che ci preparerà un posto?
Pietro ha rinnegato per tre volte. Prima dell’alba. Fa indelebilmente parte della biografia di Pietro da 2000 anni. Eppure, è ritornato su quella via, con una dedizione totale, nella certezza di giungere alla meta promessa.
Mi chiedo: la molteplicità delle dimore corrisponde alla molteplicità dei percorsi? Quella della moltitudine che abita il nostro pianeta? Il tuo, il mio?
Non è facile aprire la mente a una simile prospettiva. Prospettive troppo ampie per dei comuni mortali…
Il terrore dell’ampiezza chiude le porte del molteplice e rinserra nella prigione dell’unico modo.
I musulmani dicono: “La via è il Corano”. Gli ebrei dicono: “Il sentiero è la Torah”. I cristiani dicono: “Il cammino è il Nuovo Testamento”.
Che cosa dice il Nazareno?
“Io sono la via, la verità e la vita”.
“Io” – “sono” – “via” – “verità” – “vita”
Io: un corpo in movimento in una direzione, una. Non molte. UNA. Ma diversa da ogni altra. È questa infinità della molteplicità dell’essere che fa paura a tutti i fondamentalisti. Eppure, c’è perfino un proverbio assai popolare: “Le vie del Signore sono infinite”.
La paura spesso conduce a rinnegare la via. E la verità. E la vita.
“Io sono” è una persona, non un testo congelato nel tempo. Una persona è movimento in UNA direzione che si apre a molti percorsi. La qualità dell’agire appartiene all’amore. Le cose si fanno “per amore” non “per forza”.
Io sono uno in cammino per amore.
Tutti siamo uno in cammino per amore, fin dall’inizio.
Quando pensiamo a Gesù pensiamo all’amore, alla compassione, alla chiamata, e così via? Questi termini hanno una connotazione diversa oggi rispetto a ieri e avranno una connotazione diversa domani, perché non si vivrà mai la stessa esperienza. Essere emotivamente connessi ad una persona, non ad una pagina scritta, dà la motivazione per andare avanti. Per amore.
Forse che un musulmano non potrebbe vivere un’esperienza simile con Allah attraverso Maometto, così come un ebreo con Yahweh attraverso Mosè?
Il “sono” si riferisce a un presente eterno. Oggi io cammino con Colui che è vivo e al quale ho accesso, nella misura in cui credo.
Quando Filippo chiede a Gesù: “Signore, dicci dov’è il padre e ci basterà”, egli risponde: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?”
Perché cercare Dio nel cielo di un futuro o di un passato lontano, in un libro o in un’altra dimensione, chissà quanto “spirituale”, quando è qui in ogni momento?
Dimensioni inimmaginabili sono radicate nel mio presente, nella misura in cui mi fido e credo.
Purtroppo, le varie forme di fondamentalismo si chiudono in testi morti e in un passato idealizzato. Alla domanda: “Qual è l’epoca più interessante?”, la risposta è: l’epoca di Davide, l’epoca di Maometto, l’apice del XII secolo, l’epoca di Pio XII, l’epoca in cui non c’erano tutti questi stranieri e immigrati… l’epoca in cui le cose erano chiare… e distinte come fossero idee…
Il tempo di Pasqua è prima di tutto la vittoria sulla morte di un mondo appiattito su un testo che è stato colpevolmente inchiodato nella forma di un passato inattuale e la vittoria su una visione elitaria della società e del tempio. Il tempo di Pasqua è per noi la speranza della vittoria definitiva su ogni fondamentalismo sia religioso che civile.
Quello che mi viene in mente è che io vivo, perché sono una specie di benevolo e incoraggiante esperimento del Padre, sono una sua creatura lasciata libera di dare il meglio di sé (ma anche il peggio!). Fino ad un certo punto della mia vita questa cosa non l’avevo proprio capita e avevo la sensazione di essere lo sperimentatore e non l’esperimento. E credo che in questo equivoco non sia incappato da solo, questa cosa non dev’essere capitata solo a me, anzi probabilmente capita a tutti; è ben comprensibile che un normale essere umano abbia l’illusione di sperimentare “in proprio” l’esistenza.
Un amico, in un suo spettacolo tratto da non so dove, diceva di essere “un errore”; doveva aver ragionato in modo analogo. Forse confondeva proprio “esperimento” con “errore”, perché aveva sofferto e sbagliato molto, probabilmente.
E così il Signore continua a preparare il posto infaticabilmente per tutti quelli che si sforzano di capire che lui è la chiave di volta delle nostre ambigue tensioni “a mani separate”.