Al Tavolo di Emmaus

Riferirono ciò che era accaduto lungo la via
e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Terza Domenica di Pasqua
23 aprile 2023 – Vangelo: Lc 24,13-35; Seconda Lettura: 1Pt1,17-21

Dio non ha sacrificato… il suo iPod, iPhone, iCloud… i suoi studi, la sua reputazione o qualsiasi altra cosa, ma suo Figlio … 
“Mi ha liberato! Parlo bene degli altri, tendo loro la mano, lodo Dio, amo il prossimo…”
Sì, belle parole, animate da pie speranze, da una fede rinnovata…
Sul serio lascio che il mistero pasquale mi riempia di gioia e di gratitudine?
La mia gioia riesce davvero a toccare quelli che mi circondano?
Non è che per caso quelli che mi circondano sono raggiunti solo dai miei ordinari brontolii su tutto ciò che non mi sta bene?
L’amore mi si legga sul volto? Si sente nelle parole che escono dalla mia bocca? Si vede nei miei gesti?
Domande lecite, sensate, ognuno sa dare la risposta per proprio conto.
Allora? Questione di stile? Quando e quanto trapela questa gioia pasquale?

Ogni volta che poso gli occhi su una sequenza biblica, quel che vedo sfugge completamente al controllo della mia ragione “ragionata”, eppure colpisce la mia percezione attraverso una sensazione che vorrei chiamare “domestica”.
Allo stesso modo, la rivelazione fiorisce nella quotidianità e fluisce senza che mi sia possibile dubitarne; basta un attimo di sosta vigile, perché un bicchiere d’acqua, una tavola, un pezzo di pane, una grigliata tra amici, una conversazione per strada, un bambino che dorme nella culla, un giovane che parla, una sedia, una ciotola, una candela si manifestino come il territorio costante della rivelazione.
In quei momenti sono sveglio minuto per minuto, e ho la possibilità di toccare con mano l’incanto dell’ordinario stupore. Tanto da pensare che fuori da quei momenti, in realtà, io stia dormendo, anche mentre lavoro. Eppure, lavoro!
E quando sorge qualcosa che mi confonde, mi disturba, mi preoccupa, lì c’è ancora rivelazione: sono nel mondo, non in un bolla, né mistica, tanto meno tecnologica.
Mi viene in mente il vissuto di qualche tempo fa; la pandemia è stata una specie di scoperta globalizzata della mortalità di homo sapiens sapiens e, in qualche modo, qua e là emergeva una forma di speranza condivisa in un “cambiamento” possibile, in un miglioramento morale e materiale dello stesso sapiens.
Sono alla disillusione? Ho la sensazione confusa che qualcosa o qualcuno mi abbia deluso, reso nuovamente errante, alla ricerca di una via d’uscita?
Noioso argomento di filosofia della maturità?
Eppure, desiderio, paura, impazienza, rabbia, noia si susseguono e si mescolano e la cosa non mi pare riguardi soltanto me.
Una certa quota d’incertezza prende corpo in tutte le aspettative, si attende una soluzione, che non è ancora chiara. La soluzione spesso giunge diversa dall’aspettativa. Frustrazione o sorpresa?
Nel primo caso, in genere, ci si ripiega su se stessi, nel secondo ci mettiamo in moto.

Con i due sulla via di Emmaus sono proprio, con altri, su quel crocevia che mi permette di transitare dall’aspettativa mancata alla gioia pasquale, sono esattamente su quel tratto di strada.
Camminiamo, parliamo, discutiamo di quello che è successo: una pessima situazione ci ha toccato, rattristato, confuso, deluso. Camminiamo, parlando tra noi, nel cuore della realtà, movimento della parola, con la parola, indotto dalla parola; ci spostiamo da un punto all’altro del pensiero, delle emozioni, del modo di percepire il mondo, quasi sempre con la ragione “ragionata”, eppure qualcos’altro accade. Il percorso, la strada, il cammino personale (in due o più, non da soli, dove due o tre sono riuniti nel Suo nome…) sono la prima chiave stilistica che apre la struttura parabolica dell’esistenza. Senza questo movimento non può esservi nulla, neanche la fede.
La vita non è inerzia cementata dall’assoluto delle certezze o delle vittorie personali.
La fede mi spinge fuori dal guscio delle acquisizioni certe e fuori dalla mulattiera che attraversa le conferme delle mie belle trovate! – Figura metaforica che invita a leggere il vangelo prima di sbagliare strada irrimediabilmente, e finché è giorno; a fare attenzione al vicolo cieco, al muro, al fallimento, all’assenza di orizzonte, alla chiusura del senso e dell’intelligenza; a fare attenzione al filo d’erba che sbuca tra due blocchi di cemento, per accorgersi del germoglio di un seme, dato per sprecato.
La relazione nell’ambito della fede apre una breccia nell’opacità del mondo; la parola funziona inevitabilmente come un cammino che plasma un’apertura e apre una porta tra luoghi e tempi per sbaglio creduti separati.
E’ lì che Gesù si avvicina, Gesù stesso, come dice il testo al Versetto 17.
Giunge inatteso, si avvicina, viene preso per uno “qualsiasi”, improvvisamente si fa rivelatore di qualcosa che già era stato detto, ma non ce ne ricordavamo, parla di sé, di quando l’avevamo conosciuto, resta con noi, letteralmente si dona di nuovo.
Il “Tavolo Emmaus”, lascia nella memoria la traccia indelebile di un modo di vedere, che ci spinge a ritornare tra gli altri per confermare l’incredibile: il Cristo è veramente risorto.
Il crocevia è stato attraversato, la decisione è stata presa, la via del ritorno fra i propri simili, in famiglia, in comunità, nel mondo di tutti i giorni, è resa chiara da un’intensa gioia vitale.
Il “Tavolo Emmaus” potrebbe essere anche lo stesso intorno al quale ci sediamo tutte le sere.
La nostra tavola porta le tracce del passaggio di Cristo? O è solo una riproduzione, una specie di moderna natura morta?
La banale tavola delle nostre conversazioni, delle nostre cene, delle nostre condivisioni, questa cosa semplice e meravigliosamente ordinaria, può essere il fulcro di una connessione profonda o, purtroppo, in alcuni casi, il luogo da cui ci si è disconnessi, avendo perso il senso di esserne parte.
Occorre riposizionarsi ogni giorno sul territorio dei vivi, nella semplicità, nell’intuizione, nella fede ravvivata, che ci fa alzare e lasciare letteralmente tutto il resto, tutte le delusioni, tutti i brontolii grigi e inservibili, come una tovaglia stropicciata dopo il pasto.
Credo sia necessario vivere questo per avvicinarsi alla vita reale, per sentirla “domestica”, per rendersi conto di chi siamo, del nostro contesto, delle nostre emozioni, della natura della nostra fede.

Della nostra fede: così com’è.

Leggi la riflessione del 26 aprile 2020

NB: per info sull’immagine di copertina clicca qui

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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