Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio
La grande storia della passione di Cristo non è un pezzo da museo; è anche, con le dovute distinzioni, la storia della passione di tutti quelli che, dando la vita in nome di atti, non soltanto evangelici, ma anche soltanto compatibili con il vangelo, raccolgono incomprensioni, ostilità e disprezzo.
Il testo di oggi presenta un itinerario che aiuta a comprendere molti altri percorsi: evoca il viaggio di una persona, Gesù, che nella pienezza del dono di sé per gli altri, riceve in cambio dai suoi simili abbandono, accusa, condanna. Non è un percorso assurdo: Gesù, e tutti coloro che gli assomigliano in tutto il mondo, hanno ragione ad andare fino in fondo. Non si sbagliano perché, testimoniando la vita e la sua dignità sovrana, rifiutano la morte, anche a prezzo delle minacce di morte. Sono persone che rimangono fedeli alla loro più profonda ispirazione – ciò che Gesù chiama “fare la volontà del Padre”.
La passione e la risurrezione di Cristo riassumono l’intera vita non solo di Gesù, ma anche di tutti coloro che hanno vissuto un percorso di fedeltà, anche al prezzo del disprezzo (o del tradimento) di coloro che avrebbero dovuto sostenerli.
Nella Genesi, per esempio, Giuseppe fu venduto come schiavo dai suoi fratelli; si ritroveranno molti anni dopo, in Egitto, mentre Giuseppe, divenuto ministro, si adopera per far sfamare il popolo durante la carestia. Dirà ai suoi fratelli: “Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita […] Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio ed Egli mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d’Egitto.” (Gn 45,5.8).
Giuseppe, avendo sempre desiderato il bene , in nome di Dio, per tutti coloro che lo circondavano, dirà anche: “Se voi avevate tramato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso.” (Gn 50,20).
Questo è ciò che celebriamo e meditiamo in questa Settimana Santa: tutti coloro che accettano pienamente la vita, la promuovono e desiderano condividerla, anche a rischio di perderla nella sua dimensione fisicamente terrena. Sono persone nel mondo spesso mal comprese o del tutto fraintese, i loro comportamenti finalizzati al bene del prossimo in senso assoluto appaiono talvolta così inauditi, da risultare estranei perfino ai loro cari.
In Genesi, la banda di fratelli ha sempre diffidato di Giuseppe che parla di Dio e racconta i suoi sogni (Gn 37). Allo stesso modo, quando Gesù inizia a parlare con gli abitanti di Nazaret, quelli s’infuriano: “Chi crede di essere, conosciamo la sua famiglia, è come tutti gli altri!” (cfr Lc 4,16-30). Non è come tutti gli altri: ha una consapevolezza in più, sa che la vita ha è creata e non può essere ricreata a piacere o rifatta da capo e controllata, dunque è un dono prezioso e unico.
Chi conserva questa consapevolezza, vive una libertà che suscita disagio in coloro che ancora non l’hanno trovata, che può trasformarsi in malizia, ostilità, invidia. In questo modo inizia una via crucis personale. Si può evitare?
Occorre comprendere che quando il popolo di Dio comincia a distorcere, far finta di non capire, denigrare, svalutare, disprezzare, minacciare, maltrattare, abusare, annientare, il contenuto della Parola, nel falso convincimento di toglierla di mezzo per sempre, si ripete la passione del Cristo. E dunque, le vie crucis personali diventano inevitabili, e la responsabilità rimane in mano all’uomo.
Questo dovremmo poter francamente e lealmente riconoscere nel momento in cui diciamo che il Cristo ha preso sulle sue spalle il peccato del mondo per la nostra salvezza.
L’accettiamo questa salvezza? Solo riconoscere questo processo può rendere evitabili le vie crucis personali. Saranno capaci gli uomini di capire questo? Si può “non uccidere”? Quando il popolo di Dio potrà cessare d’infrangere il V comandamento?
La passione di Cristo riassume il percorso di troppe persone.
Si tratta di tutti quelli che, da innocenti, pagano con la vita il non essere scesi a compromesso con la morte del corpo e dell’anima; la passione di Cristo è la passione dell’uomo, conosciuta o sconosciuta, di molti e da molti.
Queste vie della croce, è bene ripeterlo e registrarlo nella mente e nel cuore, non sono vie del non-senso per coloro che le hanno vissute e per coloro che le “vedono”: iscrivono in questo mondo una logica diversa da quella del potere, del dominio e della sopraffazione dell’uomo sull’uomo, radicano indelebilmente la presenza di Dio stesso nella carne di coloro che ne sono attraversati.
Egli è presente su questa terra proprio nel corpo di coloro che, credenti o meno, resistono alla logica del male che sconvolge l’umano in nome del successo e della pseudo-libertà a tempo determinato, circoscritta fra la nascita e la morte di un singolo individuo.
Guardando Gesù di Nazaret che entra a Gerusalemme, sulla schiena di un asino che calpesta i mantelli dei discepoli, puoi vedere con Lui ciascuno dei martiri del passato, del presente e del futuro, canonizzati o meno: sono il Popolo del Regno, i figli di Dio dispersi in terra e oggi riuniti nel corpo di Cristo sofferente e già trionfante, sovranamente offerto per la vita di tutti.
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