Non mi vergogno

Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro

5 marzo 2023 – II Domenica di Quaresima
Mt 17,1-9; 2Tim 1,8b-10

Pietro, Giacomo e Giovanni al termine del racconto vedono il loro maestro per quello che è: c’è Gesù solo (17,8). Non c’è Mosè, non c’è Elia: Gesù è solo. Ed è solo Gesù. I tre non ritrovano la loro visione di prima, non vedono più attorno memorie palpabili di tradizioni, speranze, aspettative: Gesù di Nazaret è spoglio di ogni immagine che non sia la Sua persona.
La scienza, oggi, potrebbe considerare l’apparizione di poco prima alla stregua di una proiezione di contenuti immaginari.
Ma c’è stato un errore o è proprio questo l’insegnamento da trarne?
La trasfigurazione è una spoliazione dal superfluo mitico, una vera e propria proiezione prossima al delirio, o è qualcosa d’altro?
Vedere una persona con un vestito diverso da quello che indossa, in base ai nostri personali gusti o disgusti, vuol dire essere fuori dalla realtà. Questo vale anche quando immaginiamo qualità morali, spirituali, relazionali di un altro che non esistono. Qui invece andiamo molto oltre.
Nella trasfigurazione i discepoli vedono Gesù per quello che è, proprio a causa dell’apparizione sorta poco prima dinanzi ai loro occhi.
Capita spesso di sentir dire: “Non è come pensavo!” oppure: “Guarda, non sembrava!”
Talvolta si rimane delusi, talaltra sorpresi, invariabilmente è difficile vedere qualcuno solo per quel che è. A tal punto, che, quando accade, se accade tra persone che “si amano”… finisce tutto l’amore…“Non sei come pensavo!”.  – “Forse non lo sei mai stato.”- “Eri tu che vedevi quello che non c’era.” – “Sei cambiata” – “Non sei più quella di prima.”
Forse perché non si è mai assistito alla trasfigurazione: “… il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce”.

Cos’avranno visto? Com’è possibile?

La trasfigurazione è vedere col cuore cose che non si possono vedere con gli occhi. E siccome molti non hanno gli occhi del cuore sviluppati, non vedono un bel niente e quindi neanche Gesù solo. E i suoi discepoli.
Questo vangelo descrive come si vede e come ci si sente quando si è “in cielo” – non sotto terra – in cielo! Cioè pieni e posseduti dalla felicità, da una presenza, da qualcuno, da un amore.
Esperienza simile all’innamoramento?
Se nella vita ci è successo di innamorarci, di perdere la testa e fare cose pazze per qualcuno, se ci è capitato, almeno una volta, di vedere il mondo come un paradiso o un immenso giardino fiorito, soltanto perché qualcuno ci ha detto che ci ama, allora possiamo sperare di capire anche questo brano.
Se non ci siamo mai abbandonati al rischio della fiducia e quindi non ci siamo mai innamorati, lasciati andare agli slanci dell’anima, faremo fatica a conoscere il vangelo. Perché Gesù di Nazaret dev’essere stato così: un uomo che suscita un fuoco che riscalda, brucia, infuoca chi lo incontra. Ecco perché i suoi amici lo possono vedere trasfigurato: lo amano, perché Lui li ama per primo.

Non si tratta né di sentimentalismi romantici, né di sedicenti alchimie fisico-emotive, tanto meno di esotici esoterismi.
Hai mai visto certe facce piene di vita, di solarità, di voglia di vivere? Hai mai visto il volto di un bambino cullato nelle braccia di sua madre, tra gente “normale”? Hai mai visto gli occhi di una donna “normale” quando vede suo figlio dopo il travaglio e il parto? Ecco, quelle erano facce, volto, occhi di persone: solo persone.

Dio è amore, dice l’evangelista Giovanni. Solo chi sa aprirsi e vivere questo si avvicina a Dio. Se non possiamo fare questo, potremo al limite avere solo il concetto di Dio. E tutti quelli che non sanno provare, non possono permettersi, un sentimento d’amore… continueranno a cercare.

Esistono giovani che sono spontanei, candidi, piene di doti intellettuali, morali, fisiche, giovani “fortunati”.
Ne vedo altri che sono meno “fortunati” e spesso vedo le loro famiglie, i problemi, le situazioni: non ci vuole la sfera di cristallo per capire che in quel terreno è stato difficile crescere, che in quell’altro sarà quasi impossibile, che in questo sarà più semplice. Non credo che il Signore faccia disparità di trattamento, credo piuttosto che sia il comportamento degli uomini a produrre ostacoli. Quando vedo bambini “mal messi” vorrei dire loro: “Siete grandi! Diventate le bellezza che siete”.
Quando ascolto le persone che vengono a parlare e sento le loro storie, le loro ferite, i loro traumi, i loro pianti (a volte ci sono delle vere tragedie); quando sento cosa hanno passato o vissuto, non posso non commuovermi, perché sento il loro dolore, che tuttavia rimane loro: io solo lo avverto, lo percepisco.
Quando invece si vincono delle battaglie, si fanno delle conquiste, si superano delle paure, delle barriere che sembravano insuperabili; o quando succedono delle cose impensabili e meravigliose o quando si aprono degli spiragli inattesi o quando si guarisce fisicamente o nell’anima o ci si trasforma e si diventa belli e splendenti come il sole e si ritrova finalmente la propria vera figura, allora non posso non commuovermi e la gioia prende anche me.
Il nome Tabor, il monte della trasfigurazione, significa “ombelico”.
La vita ci chiama a tagliare tutti i cordoni ombelicali, tutte le dipendenze da ogni aspettativa più o meno realistica, per poter rinascere e vivere ogni giorno esperienze di trasfigurazione
Se al bambino non fosse tagliato il cordone ombelicale morirebbe: non tagliare certi legami, cioè cambiarli, renderli più liberi o veri, chiuderli, perdonarli, modificarli, trasformarli, fa calare la notte, ci fa solo morire.
Il nome Tabor, ombelico del mondo, dice che noi siamo legati a qualcosa (re-ligione vuol dire ri-legare, collegare) che solo ci rende solo quello che siamo. Questo legame è eterno, non si può troncare. E per quanto in basso si possa cadere, c’è una corda forte che tiene e nessuno si perderà.
Quand’ero bambino il nonno si calò per pulire un pozzo (non era molto fondo, 4-5 metri, ma ai bambini tutto sembra enorme). Si legò alla vita e lo calarono giù. La mia paura era: “E se la corda si spezza?”. Nonno mi tranquillizzò: “Questa corda non si rompe mai”.

Dev’essere lo stesso sentimento di Paolo in prigione: non dubita del suo legame con Dio. La sua fiducia rimane piena, intatta, perché quella corda non si spezza. Come gli apostoli, che anche quando Mosè ed Elia non ci sono più, ma c’è Gesù solo, sono rimasti nel Suo amore.

Il Cristo Risorto, infatti, ha affidato loro il ministero di annunciare il Vangelo, e il loro compito continua nei secoli attraverso. Anche Timoteo, in seguito ,lo trasmise ad altri (2 Timoteo 2,2). E noi continuiamo a testimoniare.

Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro

NB: per info sull’immagine di copertina clicca qui.

Scarica o visualizza il commento del 08/03/2020.

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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