Perfetti

Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

19 febbraio 2023 – VII Domenica del Tempo Ordinario
Mt 5,38-48; 1Cor 3,16-23

Come faccio? E quale importanza potrebbe mai avere? Cosa potrei fare?
Se vivo in un mondo in cui la guerra non si ferma neanche davanti ad un terremoto con oltre 42.000 morti e tutti assistiamo addolorati?
Se la guerra non si ferma neanche davanti alla fame e alla miseria dell’altro lato del mondo?
Se anche nel lavoro e nella famiglia scorgiamo l’inerzia che conduce all’ingiustizia?
Come farò ad essere perfetto?

Gesù si rivolge ai discepoli e indica un modo di essere nel mondo e una modalità esistenziale che può essere identificata come “regno dei cieli”. Dopo aver concluso la prima parte del Discorso della montagna con una serie di affermazioni che radicalizzano la legge di Mosè, approda alla conclusione sconcertante: Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
Non sarebbe già abbastanza impegnativo attenersi alla legge di Mosè? Aspirare alla perfezione, non sarebbe come aprire la via alla frustrazione o all’illusione altrettanto problematica di un possibile successo? Ma qui il verbo usato è proprio “essere”, non “aspirare a”!
Dobbiamo sentirci condannati ad essere sempre imperfetti? O dobbiamo annacquare il testo, addolcendolo tramite un’interpretazione che lo renda meno duro?
Gesù ricorda quanto appreso dalla legge di Mosè circa offese, adulterio, divorzio, giuramenti, vendetta, nemici, e per ognuno di questi temi offre la Sua soluzione.
Mira alla radice spirituale, alla dimensione psicologica, all’intenzione che guida ciascuna di queste azioni, ognuno di questi comportamenti.
Allarga il campo della “perfezione” fino a dire che dobbiamo amare i nemici e pregare per loro. Quale sarebbe il merito nel riamare chi ci ama? In effetti, se ci si ferma all’occhio per occhio, dente per dente, cioè alla logica della riparazione del danno con un altro danno, o a quella, in direzione opposta, della ricompensa adeguata alla prestazione, nel migliore dei casi ameremo tanto quanto siamo riamati: con la bilancia sempre pronta… e il libro della contabilità sempre aperto…
E allora? Allora, cade tutto l’edificio: se mira alla regola del do, ut des dev’essere un po’ poco come modalità esistenziale del regno dei cieli! 
Qui potremmo iniziare a ragionare sul significato di questa “perfezione”
Credo abbia poco a che fare con l’accezione più comune nella lingua italiana, nel senso di assoluta mancanza di qualsiasi difetto; nel testo di Matteo, Gesù invita ad essere τέλειοι = téleioi, cioè compiuti. In questa perfezione c’è un elemento di base: la completezza, la capacità di condurre a termine qualcosa avendo fatto tutto ciò che era necessario. Naturalmente, per Matteo, la compiutezza del vivere e dell’agire è finalizzata al regno, secondo l’etica evangelica.
Forse, non potrebbe essere altrimenti, perché se il Dio cristiano, Padre del Cristo e di tutti noi, ragionasse – come noi quasi sempre ragioniamo – in un’ottica di reciprocità contabile, come potrebbe offrire la salvezza indistintamente a tutta l’umanità? Se perfetto significasse solo aver pareggiato i conti in modo insindacabile?
Gesù, dunque, invita i suoi discepoli ad andare ben oltre la semplice reciprocità, apre la prospettiva su un modo di vivere basato sulla gratuità del dare e sulla gratitudine per il ricevuto; in fondo, indica un’esistenza conforme all’atteggiamento di Dio, che “fa sorgere il suo sole sui malvagi e sui buoni, e manda la pioggia sui giusti e sugli ingiusti”, senza ricatti, senza baratto e, paradossalmente, senza pretesa di assolutezza: non è richiesto l’impossibile.
Questo è anche ciò che l’apostolo Paolo esprime, contrapponendo Legge e Vangelo in Galati: in Cristo ebrei e non ebrei, schiavi e liberi, maschi e femmine (3,28) sono ugualmente riconosciuti, incondizionatamente e indipendentemente dalle loro qualità, essendo loro offerta la libera adozione filiale (4,5). Unico compito: lasciare che si compia il necessario, secondo la logica delle beatitudini.
Mi spiego: se intendo il Discorso della Montagna come un’ingiunzione a fare sempre di più, rimanendo nello stato d’animo del contabile, volendo fare sempre di più della stessa cosa nel bene, sempre di più, sempre meglio, giungo inesorabilmente alla constatazione schiacciante di non poter essere perfetto in questo senso. Come bene illustra San Paolo: Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,19).
Se l’impossibilità di raggiungere la perfezione m’induce al senso di colpa, e l’accettazione fiduciosa di una gratitudine incondizionata offerta da Dio mi serve solo per mitigare la colpa e la paura, allora può darsi che tutto ciò che mi compete non sia ancora compiuto…c’è qualcos’altro nella Parola che devo ancora ascoltare.
Come è perfetto il Padre celeste? Non “quanto”, ma “come”: facendo sorgere il suo sole su tutti, buoni e cattivi … e offrendo la sua pioggia a tutti, giusti e ingiusti.
Qui troviamo l’accoglienza incondizionata e gratuita in cui l’apostolo Paolo riconosce il Vangelo stesso, la Buona Novella dell’adozione filiale. Ed è proprio questo che ci rende “figli e figlie del Padre celeste”. Nel “come” ci si relaziona al prossimo, noi possiamo portare a compimento il “quanto” che ci è affidato. “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15): è sempre lo stesso “come”.
La felicità annunciata dalle Beatitudini non è una ricompensa da guadagnare al prezzo della conquista di un’ipotetica perfezione giuridica, morale o spirituale, al contrario è una possibilità offerta a tutti coloro che decidono di adottare quel paradigma.
Abbiamo abbastanza fiducia nel Signore e in noi stessi per accogliere incondizionatamente il Discorso della Montagna? Per aprirci alla gratitudine e alla riconoscenza? D’altronde, solo così potremo aspirare ad essere compiuti come “figlie” e “figli” del Padre celeste.

Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
A ciascuno il “come” della compiutezza.

NB: per info sull’immagine di copertina clicca qui.

Scarica qui il commento al Vangelo del 19 febbraio 2020

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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