Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei …
12 febbraio 2023 – VI Domenica del Tempo Ordinario
Mt 5,17-37; 1Cor 2,6-10
Noè fu probabilmente il primo “giusto”, identificato come tale, nelle Sacre Scritture (Gn 6,9).
Strettamente parlando non era un uomo religioso secondo la nostra concezione moderna di religione; in questa fase della storia dell’umanità, infatti, nessuno parlava ancora di liturgia, né di preghiere, né di popolo di Israele, ma solo di offerte alla divinità, per ingraziarsela o per ringraziarla.
Nella Bibbia è espresso con chiarezza ciò che piace a Dio e ciò che non gli piace. La condotta di Noè è dunque gradita a Dio, in quanto obbedisce all’intenzione divina di perpetuare la vita sulla terra, nonostante la ferocia e la depravazione degli esseri umani.
Nella tradizione giudaico-cristiana un uomo è identificato come “giusto” per il modo in cui sta “davanti a Dio”. Per esempio, i giusti sono Zaccaria ed Elisabetta, i genitori di Giovanni Battista (cfr Lc 1,5-6), giusto è Giuseppe, lo sposo di Maria (cfr Mt 1,19), giusto è Giuseppe d’Arimatea (cfr Lc 23,50). Fondamentalmente sono giusti perché ascoltano Dio, gli obbediscono e agiscono con misericordia.
La giustizia è intesa nella Bibbia come un intreccio di disposizioni, condotte e atti tesi alla salvaguardia della vita, dell’amore per il prossimo e della verità ultima di Dio.
Ma la capacità di discernimento del “giusto” mette in discussione, a mio parere, qualunque uomo o donna, credente o meno, e di qualsiasi religione, perché il tema della giustizia è trasversale all’intera umanità. Questo è il motivo che ha dato origine a tutte le forme di leggi scritte.
Distinguere gli elementi di giustizia e mettere in atto condotte “giuste” implica la presa di posizione personale in tutte le situazioni del presente di cui si è testimoni.
Nella prospettiva neotestamentaria, in particolare, nella persona del “giusto”, lui o lei che sia, il Signore si dà ad ascoltare, in tutti i luoghi e in tutti i tempi del nostro mondo. In qualsiasi situazione bloccata, invivibile, di conflitto, in presenza o meno di vittime sacrificali, sarà sempre un “giusto” a dire la verità in quella situazione o agirà al fine di renderla manifesta e operante.
Il “giusto” non obbedisce a parole d’ordine, né a slogan, non segue nessun altro uomo o donna, semplicemente cammina davanti a Dio, al cospetto di Dio, con Dio, esattamente come i discepoli di Emmaus.
Leggendo Matteo mi accorgo che c’è un’alta probabilità di suscitare forte disaccordo, se facciamo della predicazione di Gesù la base del nostro discorrere. In effetti Gesù, che incarna l’irruzione del regno di Dio, l’avvento della giustizia divina nella nuova alleanza, entra in rotta di collisione con il senso umano della giustizia, compresa quella retributiva dei tempi di Mosè.
Il punto di rottura è descritto attraverso sei antitesi che, radicalizzando la legge mosaica, ne rovesciano totalmente la prospettiva. Gesù contesta una cattiva comprensione della giustizia divina e propone un modo nuovo di intenderla. E già questo può essere fonte di profondo disaccordo con chi pensa che la legge di Mosè sia verità immobile perché Parola di Dio.
Ora, appunto, non esercitare la ragione della mente e del cuore riguardo alla legge di Mosè, significa farne un tabù, trasformando paradossalmente le norme in idoli; probabilmente è ciò che intende Gesù quando dice “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27).
Gli idoli sembrano fatti apposta per rovesciarli, nel tentativo di recuperare le prospettive prime.
Gesù radicalizza la legge mosaica per mostrarne tutta la portata. Parte da un terreno comune: “Avete inteso che fu detto non uccidere” – e già su questo non siamo tutti d’accordo, visto che si continua a farlo. Gesù radicalizza qui la legge, mostrando che la prospettiva divina è il pieno rispetto dell’altro dal punto di vista fisico e morale: non solo non uccidere il vicino, ma nemmeno fargli del male; non solo non fargli del male fisicamente, ma nemmeno insultarlo; non solo non insultarlo, ma non umiliarlo – che significa ucciderlo interiormente, per esempio dandogli del “pazzo”.
Ciò che Gesù contesta è una visione letterale e semplicistica della legge, che consiste nel rispettarla senza comprenderne l’intenzione; si chiarisce che la giustizia degli uomini è solo un passo verso la convivenza pacifica, un passo necessario, per orientare un’etica francamente povera, ancora debole.
“Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo!”
Gesù spinge il suo “metodo” a far rilevare ciò che realmente motiva la tendenza ad osservare la legge: la paura (della polizia, del magistrato, dell’agenzia delle entrate…), perché in effetti chiunque commette un reato rischia di essere sottoposto a giudizio. La paura della condanna può essere un buon motivo per non uccidere, ma rimane pur sempre una motivazione estrinseca, troppo debole per non condurre alla degradazione della nostra umanità. Ecco perché prima che sia messo in moto il meccanismo del rispetto della legge scritta per paura della punizione, dev’essere pronta l’apertura alla giustizia divina che pone in anticipo le fondamenta della pace: mettiti d’accordo prima, perché dopo sarà troppo tardi.
Anche la proibizione dell’adulterio è un passo necessario ad una umanità eticamente debole. Come si può non dedicarsi lealmente a chi veramente amiamo e stimiamo in tutta la ricchezza della sua personalità? Certamente non è una storia che può riguardare solo l’aspetto fisico passionale…
La falsa testimonianza, ancora una volta, è la chiara prova che le relazioni umane sono purtroppo ampiamente vissute all’insegna della slealtà. Questo spiega l’incessante richiesta di giustificazione…e le spese in avvocati…
Infine, Gesù ricolloca al proprio posto la famosa legge della ritorsione. Se io cavo un occhio al mio nemico, certamente non sarà il mio occhio cavato da un suo parente a risolvere il problema dell’occhio mancante dell’uno e dell’altro. L’occhio per occhio, nel senso della vendetta, è una strategia che permette solo di ritrovarsi tutti ciechi.
Nella nuova alleanza siamo già giustificati, perché il peggio del peggio possibile all’uomo è già avvenuto: condanna, tortura, morte di Cristo. Ma è anche già avvenuta l’uscita dal peggio: la resurrezione. Quindi, se ancora oggi sulla terra si punisce, si tortura e si uccide, è perché l’umanità è dominata dalla paura del male e della punizione e non è capace di accettare l’idea che il Cristo sia risorto.
Siamo deboli, è vero, ma si tratta di non essere anche stupidi, reagendo in maniera primitiva e banale con i nostri impulsi di prevaricazione. Abbiamo istinti forti, originariamente maturati in favore della vita e dell’acquisizione di una sempre maggiore libertà di movimento, di pensiero, d’invenzione e di espansione della coscienza. Negare questa evidenza vuol dire regredire in cerca di giustificazioni per le nostre ingiustizie.
Se la nostra giustizia non supera la logica del “quel che fatto è reso”, rimaniamo ancora nell’ambito della ricerca di giustificazione (o punizione) e continuiamo ad esercitare una giustizia debole o addirittura ingiusta.
Leggere la Bibbia è un’“arte applicata”. A che serve leggerla, se non si fa luce sulle situazioni in cui viviamo le nostre relazioni e le domande specifiche che sorgono nel nostro tempo? Non ci sono circostanze più “religiose” o più “spirituali” di altre. Ovunque l’uomo è chiamato in causa, Dio fa sentire la sua voce. Avete inteso che fu detto…
Non è cercando giustificazioni, che si diventa giusti, Noè l’arca l’ha costruita prima del diluvio, perché ha saputo leggere il suo presente. Zaccaria ed Elisabetta, il loro rapporto coniugale l’hanno costruito prima che nascesse il figlio Giovanni; Giuseppe ha deciso di accogliere Maria, perché aveva costruito prima la sua capacità di amare: era un uomo giusto. Giuseppe d’Arimatea era un uomo misericordioso e andò da Pilato a richiedere il corpo del Cristo deposto dalla croce per seppellirlo. Probabilmente perché si sentiva parte del regno di Dio: nella nascita, nell’esistenza, nella morte del corpo e nella vita che scorre oltre e attorno a tutto questo.
E credo che ciascuno di noi abbia avuto, almeno una volta nella propria esistenza, il sentore di essere parte del mistero della vita.
NB: per info sull’immagine di copertina clicca qui.