5 febbraio 2023 – V Domenica del Tempo Ordinario
Mt 5,1-12; 1Cor 1,26-31
In politica, e non solo, l’arte di parlare in pubblico è essenziale. Uomini in grado di galvanizzare le folle con la semplice forza della parola pronunciata con eloquenza e convinzione. Pretendiamo lo stesso dai nostri pastori di oggi quando predicano? Da giovane ricordo grandi raduni cristiani in cui un predicatore infuocato, di fronte a una folla enorme, invitava il pubblico a donare la propria vita a Gesù, il tutto con un sottofondo di musica carica di emozioni. Tuttavia, accettare Cristo come salvatore e maestro non è una questione di retorica o di sentimento, ma una questione di sincerità.
Cosa resta se la bella musica si ferma? Soprattutto dove risuona la musica? Fuori o dentro?
In psicologia si dice che la motivazione può essere estrinseca o intrinseca; quindi, ci risiamo con il sale e la luce. Il significato non è diventare sale e nemmeno diventare luce, come dire passare da sale insipido a sale saporito e da lampadina fulminata a torcia a led; voi siete sale e luce, probabilmente è un discorso che illustra la realtà di ciò che siamo, in maniera essenziale
Chi sono? Come agisco? Quali sono le mie azioni che potrei considerare di gloria al Padre? È interessante e ammirevole che Bach scrivesse alla fine delle sue composizioni SDG: Soli Deo Gloria; è ancor più interessante, commovente e degno di memoria che il giudice Livatino, ucciso dalla mafia, scrivesse sui suoi appunti STD (Sub Tutela Dei): due modi senz’altro diversi di rendere gloria a Dio, tenendo accesa ciascuno la sua lampada: uomini diversi, chiamati a compiti diversi, collocati in due campi profondamente differenti della vita.
Ognuno risponde e reagisce da sé a ciò per cui si sente chiamato; credo in ogni caso che esista una vocazione per ciascuno di noi, declinata negli infiniti modi delle nostre esistenze personali.
Il passo del Vangelo in lettura oggi si trova subito dopo le Beatitudini; Matteo probabilmente scrisse dopo la caduta di Gerusalemme, tra il 70 e l’85, soprattutto per i cristiani di origine ebraica, residenti in Siria, che versavano in serie difficoltà, minacciati dal dubbio e dalla stanchezza. L’evangelista affronta il tema della forte critica proveniente dalla sinagoga farisea e la questione dell’apertura della giovane comunità cristiana ai non ebrei.
“Voi siete il sale della terra”: come sempre sono possibili diverse letture. Nella Bibbia si parla di “alleanza di sale”, cioè indistruttibile; nel Libro dei Numeri Dio dichiara ad Aronne: “Questa è un’alleanza di sale eterna davanti a Yahweh per te e per la tua discendenza con te” (Num 18,19). L’espressione si trova nel rituale religioso: tutte le offerte presentate a Dio devono essere salate con “il sale dell’alleanza del tuo Dio” (Lev 2,13). Da questa prospettiva di senso, i discepoli danno sapore al mondo e ne assicurano la sopravvivenza davanti a Dio. Ma se perdessero lo spirito delle Beatitudini elencate appena prima di questo brano, perderebbero tutto il sapore.
Un’altra interpretazione tiene conto di una pratica agricola attestata in Egitto e in Palestina: il sale veniva aggiunto al concime per renderlo più capace di fertilizzare la terra. In quest’ottica, il sale simboleggia la saggezza che rende le persone più capaci di portare frutto. Questa interpretazione è forse più prossima a noi quando ci capita di dire “senza sale in zucca”, che letteralmente significa “essere stupido”, perdere la saggezza (saggezza, sapienza, da sapere). Come il sale mischiato al concime, fertilizza la terra, così la fede dei discepoli, grazie alla saggezza ricevuta da Gesù, aiuta le persone a far fruttificare la propria vocazione.
Il sale ha anche un effetto sterilizzante e purificante, come quello che Eliseo getta nella sorgente di Gerico, che resta purificata “fino ad oggi” (2 Re 2,19-22). Il Vangelo di Marco sembra riprendere questo principio. “Abbiate sale in voi stessi e vivete in pace gli uni con gli altri” (Mc 9,50). I discepoli, in questo caso, non sono qualificati innanzitutto come sale della terra, ma sono invitati a diventare “saggi”, cioè sostanzialmente ad avere “sale in zucca” (e a non fare sciocchezze per sé e per gli altri). Ma come possono essere saggi, se non riconoscendosi discepoli di colui che è la Sapienza di Dio in persona, cioè il Cristo risorto?
“Voi siete la luce del mondo”: l‘immagine della luce, nel libro di Isaia, si riferisce alla vocazione di Gerusalemme, città di luce posta sul monte per attirare i popoli a Dio (Is 60), e alla vocazione di Israele, “luce delle nazioni” (Is 42,6 e 49,6). Per gli ascoltatori ebrei del Vangelo, è la Legge di Mosè la luce del mondo (Sap 18,4). Il paragone con la lampada, fatta per essere vista, dice che mostrare questa luminosità è un dovere per il discepolo di Gesù. La luce non deve essere riposta, come si faceva anticamente con la lampada, che veniva riposta in un piccolo armadietto (il moggio), quando non veniva utilizzata; viceversa dovrebbe essere ben visibile, illuminare l’interno e irradiare verso l’esterno. Il versetto 16 specifica la natura di questa luce: le opere buone; non si tratta tanto di una condotta conforme alla Legge, quanto piuttosto del timore di Dio e della pratica della giustizia, del bene, delle “opere di misericordia”. Così nel Siracide è detto: “Chi teme il Signore è giustificato; fa risplendere come una luce le sue buone azioni” (Sir 32,16). Non si tratta di ostentare le proprie virtù, ma di aiutare le persone a scoprire che in loro brilla una microscopica scintilla, emanata direttamente da Dio e dalla sua Parola, in grado di illuminare le tenebre che li circondano. Per gli ascoltatori di Matteo le “opere buone” sono, come affermato poco prima nelle Beatitudini, fonte di gioia: bisogna viverle, spetta a noi annunciare il regno dei cieli, che è già qui, l’hanno già inaugurato (!) e la porta, per quanto stretta, è aperta.
Il Cristo, attraverso Matteo, si rivolge ancora oggi ai cristiani che, per paura o tiepidezza, non rendono testimonianza al Vangelo; l’invito è a rimanere saldi.
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