Credere nel Figlio dell’uomo

Duccio, La guarigione del cieco nato

Come, dunque, ti furono aperti gli occhi?

19 marzo 2023 – Quarta Domenica di Quaresima Anno A
Gv 9,1-41; Ef 5,8-14

Tutto inizia con grande semplicità: “Passando Gesù vide un cieco dalla nascita”.
L’osservazione è semplice, completamente aneddotica; Gesù avrebbe potuto ignorare questo cieco. Sono i discepoli a porre la domanda che dà inizio a tutta la sequenza: “Rabbi, chi ha peccato per essere nato cieco, lui o i suoi genitori?” In altri termini: “di chi è la colpa?”
In quella società l’infermità è vista come punizione (divina) in risposta ad una colpa sconosciuta; la domanda dei discepoli sembra logica. Gesù risponde: “Né lui, né i suoi genitori. Ma è perché le opere di Dio si manifestino in lui!” Non emette giudizi, quindi, è solo un dato di fatto che il cieco sia lì.
Il canto del Servo nel Libro di Isaia ricorda: “Farò camminare i ciechi per una via che ignorano,
li guiderò per sentieri che non conoscono; cambierò davanti a loro le tenebre in luce,
renderò pianeggianti i luoghi impervi. Sono queste le cose che io farò e non li abbandonerò”. (Is 42,16).
Gesù dice: “Finché è giorno, dobbiamo lavorare alle opere di Colui che mi ha mandato: arriva la notte in cui nessuno può lavorare; finché sono nel mondo, sono la Luce del mondo”.
Il cieco dalla nascita ci somiglia: nella cecità può iniziare un viaggio verso la Luce, offerta a ciascuno, finché è nel mondo.
Con le Sue parole Gesù pone la questione in maniera incisiva: il Dio che si è fatto uomo opera qui, nel mondo, perché si manifesti la volontà del Padre. Ed è anche qui, nel mondo, che si decide se accettare o rifiutare la salvezza.
Il cieco non ha chiesto proprio niente, per “un caso” i discepoli pongono una domanda sulla condizione di quell’uomo e così inizia un processo di guarigione.
“Gesù sputò per terra, fece fango con la sua saliva e lo applicò agli occhi del cieco e gli disse: Va’ a lavarti alla piscina di Siloe”. Il cieco va, si lava e torna che ci vede.
La miscela di saliva e terra, concreta e materiale, diventa strumento di guarigione. Il Creatore stesso aveva modellato Adamo con la polvere presa dal suolo e poi col Suo soffio aveva reso vivente quella polvere. Allo stesso modo, ora, il Cristo mischiando la saliva, materia secreta dalla parola, con la terra, dà la vista a chi non l’ha mai avuta.  Il richiamo alla creazione è evidente e continua quando il cieco obbedisce all’ordine di andare a lavarsi nella piscina di Siloe. Se all’inizio Adamo fu polvere animata dal soffio, nel mondo rimane inerte, avvolto nelle tenebre, finché non irrompe il divino, dando l’avvio alla possibilità di “vedere”. Lavarsi e strofinarsi bene gli occhi per guardare meglio e vedere ciò che non si è mai visto prima, è il compito affidato a noi tutti dal Creatore.
Se Adamo, aduso a farsi turlupinare dalle menzogne del serpente fin dall’alba del mondo, nelle vesti novelle del cieco, rimanesse passivo e non purificasse la sua vista, non si accorgerebbe di nulla, tantomeno della menzogna che sempre agisce nel mondo, a partire da se stesso, e il processo personale di redenzione rimarrebbe incompiuto.
L’uomo ha bisogno di redenzione, la salvezza è già compiuta per lui, l’ostacolo consiste nel continuo ripetersi dello stesso errore: l’uomo tende a rimanere nella menzogna, caso mai prova anche sensi di colpa e recrimina inutilmente, mentre gli sfugge l’unica domanda che risuona nelle orecchie di ogni Adamo: «Tu credi nel Figlio dell’uomo?». (v. 35)
A quanto pare i primi a non assumersi alcuna responsabilità nel processo di liberazione rispetto al cieco, anch’esso figlio dell’uomo, sono proprio i genitori: “E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori risposero: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l’età, parlerà lui di se stesso». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga.” 
Mentre i genitori, Pilato ante litteram, non testimoniano ciò che ad essi è evidente, l’atteggiamento farisaico è indice di tutte quelle situazioni istituzionali nelle quali, per proteggere i riferimenti ad una interpretazione tradizionale, si escludono alcuni dati di fatto. Il cieco guarito, da innocente, subisce un rimprovero e una condanna del tutto ingiusta: Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». E lo cacciarono fuori.”
Non fa parte del contesto mentale farisaico il poter accettare che il cieco sia stato guarito.
Anzi viene intentato un vero e proprio processo contro il cieco guarito con tanto d’indagine; i farisei, divisi tra chi non vuole sapere nulla di questo segno di guarigione, per il gravissimo motivo che è stato operato di sabato, e chi comincia a pensare che dopotutto un tale segno, anche se fatto di sabato, non si può fare senza l’aiuto di Dio. La risposta finale del cieco guarito è tanto semplice da essere simile al “due più due fa quattro” della Samaritana di domenica scorsa: “Da che mondo è mondo, non s’è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla.
E non è una frase di Jacques de La Palice… ciò che non finisce di stupirmi in certi racconti dei vangeli, a proposito di parabole, guarigioni e miracoli, è un certo tono giocoso del Nazareno, quasi volto a svelare, pur nella tragicità delle situazioni, l’evanescenza di qualsiasi ragionamento sofistico e tipicamente umano, volto a dare parvenza di credibilità alla pochezza del costrutto. Non solo il Nazareno dirà al cieco: “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi”, ma per giunta ai farisei – che si erano inseriti nella situazione per giudicare, senza essere stati chiamati in causa, e con la solita ingenua retorica avevano chiesto: “Forse siamo ciechi anche noi?” – dirà argutamente: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane.
Un Dio pieno di grazia!
Il cieco guarito mi ricorda un rematore che avanza guardando da dove è partito e non dove sta andando: ascoltate le parole del Nazareno, capisce che è urgente obbedire e andare a Siloe a lavarsi.
Più spesso noi, invece, ci orientiamo guardando ad un futuro immaginario, e dimentichiamo da dove veniamo e cosa è necessario fare; se il navigante non agisse sui remi, andrebbe alla deriva, così come il cieco rimarrebbe con gli occhi impiastricciati di fango. Se non agiamo con i mezzi che ci sono dati nel presente, rischiamo anche noi di rimanere ciechi e andare alla deriva.
La Creazione si evolve, l’umanità continua a generarsi, i bambini diventano adulti, poi probabilmente diventeranno genitori, e i loro figli diventeranno adulti, anch’essi genitori e così di seguito. Ciascuno, qualunque sia la sua origine e la sua condizione iniziale, partecipa personalmente a questo processo, divenendo protagonista principale nel corso della propria vita per esprimere ciò che sceglie di essere. Nel Vangelo succede esattamente la stessa cosa: per un gesto, per una parola, per uno sguardo, ognuno può ritrovarvisi partecipe, la piscina di Siloe è sempre quella ma gli effetti purificatori dell’acqua sono sempre nuovi a seconda di chi vi si immerge. Siamo tutti nati spiritualmente ciechi, ma il peccato appartiene a chi rimane in quella condizione pensando di vedere perfettamente.
E i discepoli?
Hanno visto uno che non ci vedeva e alla fine quello che non ci vedeva li ha visti tutti: Gesù, i discepoli, i genitori e i farisei. Perché si manifestassero in lui le opere di Dio.

NB: per info sull’immagine di copertina clicca qui

Visualizza o scarica la riflessione del 22 marzo 2020.

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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