Cristo Re

Lo scherno di Cristo - Otto Lange (1919)

Ricordati di me

20 novembre 2022 – XXXIV Domenica del Tempo Ordinario
Festa di Cristo Re
Luca, 23,35-43

La violenza è onnipresente: c’è ovviamente la crocifissione di Gesù, ma non è su questo che voglio fermarmi. Prima c’è una folla muta che guarda la scena senza capire. È una delle grandi violenze che la vita fa sperimentare, una violenza sottile, ma molto reale. Possiamo parlare di persone che non capiscono, perché non sono interessate alle grandi domande della vita; diventa più drammatico se si tratta di genitori che non capiscono cosa stia succedendo ai loro figli, o di gruppi sociali che non capiscono cosa stia succedendo in quel momento all’interno di altri gruppi, o ancora di leader che non si rendono conto delle reali condizioni di vita nei paesi in cui governano o in quelle aree del mondo, che sono influenzate o condizionate dalle loro scelte.
In Palestina, al tempo di Gesù, il governo è condizionato da un’élite politico-religiosa che si beffa di Gesù.
Ci sono sicuramente persone che hanno sperimentato cosa voglia dire essere il bersaglio di una beffa, di una presa in giro malevola e sprezzante.
Quale potrebbe essere l’obiettivo principale nel beffarsi di qualcuno? Probabilmente vanificare le idee di quella persona, cancellarne i contenuti, svalutare ogni atto compiuto da quella persona o in nome di quelle idee. 
E quale reazione potrebbe, quindi, venire a determinarsi?
Le cronache hanno riportato, ad esempio, casi gravissimi di adolescenti che negli ultimi anni hanno innescato sparatorie dentro le loro scuole; si trattava di adolescenti che erano stati derisi per la loro balbuzie o per la loro timidezza: qui la violenza, attraverso l’arma da fuoco, è il macabro risultato, lo sproposito folle, che in ogni caso riflette una violenza verbale e spesso fisica precedentemente subita, come nei casi delle vittime di bullismo.
Nel vangelo di questa domenica è messa ben in rilievo la figura del soldato, che, seguendo l’esempio di scherno attivo nell’élite politico-religiosa, imita i capi e si fa strumento intenzionale e volontario di oltraggio e violenza: una spugna imbevuta di aceto viene offerta al posto dell’acqua da bere ad un moribondo “legalmente” giustiziato.
Forse non ci si ferma mai abbastanza a riflettere su questi orrori.
Paradossalmente, anche uno dei malfattori crocifissi con Gesù si carica dello stesso ruolo rivestito dall’élite politico-religiosa e dal soldato: il “ladrone”, pure lui crocifisso, pure lui nella sofferenza – che dev’essere atroce – si fa beffa di Gesù crocifisso accanto a lui. Non è infamia: è aver vissuto inetti al bene. Trovo questa situazione tristissima, penosa: è la violenza impotente e masochista del piccolo, identificato ormai col pensiero del potente di turno , che perpetua la filosofia della vita come carcere, come ambito mortalmente soffocante in cui l’impossibilità di sottrarsi alle catene si trasforma nell’attivo ridicolizzare ogni tentativo di liberazione: “Re dei Giudei, salva te stesso!” – Non è rivolta, è adesione alle catene.
Ricordo che una volta a Douala vidi fermo al semaforo un furgone della polizia locale con un detenuto a bordo; all’improvviso uscì attraverso la grata uno sputo che atterrò, sfiorando i piedi di una passante. Chi può dire l’odio di cui era carico quello sputo?

Se considero il tutto in blocco, mi sento anch’io così impotente e scoraggiato, che mi viene voglia di scappare o, caso mai, di unirmi al lamento contro questa sinfonia tragica di violenza: “È così, non ci si può far nulla!” – qualcuno dice.
Mi è chiaro, tuttavia, che l’atteggiamento di Gesù non corrisponde al nostro comportamento abituale. Purtroppo la ripartizione liturgica ha tagliato il racconto del Vangelo di oggi, togliendo il versetto di apertura, proprio quello che restituisce il pieno significato a questa parte del dramma messianico: “Padre, perdona loro: non sanno quello che fanno”.
Perdono. Non si tratta di esercitare uno spirito bonario che lascia passare tutto, no!
Perdonare è credere che il cuore di un essere umano, per quanto perfido, possa essere veramente trasformato. Nonostante tutta la violenza che si scatena contro di lui, Gesù crede e vede la possibilità umana di scegliere la salvezza. E, dunque, perdona.
La prova è che uno dei due malfattori crocifissi con lui, cambia atteggiamento:
“Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo Regno”. Quell’uomo è nella memoria di Dio, non è dimenticato da Dio, per questo il Cristo dice: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».
All’altro malfattore non viene detto nulla. Siamo troppo lesti e abituati a dividere l’umanità in buoni e cattivi, in premiati e puniti, identificandoci con qualche tipo di severo giudice, munito di criteri validi.
Mi piace credere, basandomi su quel versetto tagliato via, che la memoria di Dio includa tutti coloro per cui noi ogni giorno possiamo ripetere le stesse parole insegnate dal Cristo sulla croce:
“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

La regalità del Cristo, il Cristo Re, consiste nel potere di trasformare i cuori, di volgere ogni essere umano verso il bene, anche quando il rifiuto e la rinuncia personale, causati dall’errore o dalla disperazione impotente appare ragionevole.
La fede nel Cristo Re mi permette di chiedere ancora, oggi, di fronte a tante forme di violenza:
“Gesù, ricordati di noi e del nostro mondo”.

NB: per info sull’immagine di copertina clicca qui

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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