Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?
9 ottobre 2022 – XXVIII Domenica del Tempo Ordinario
Luca 17,11-19
Quante volte ho ascoltato questo vangelo e quante volte ho messo e sentito mettere l’accento sull’ingratitudine dei nove che non tornano indietro a ringraziare.
Oggi penso che forse la questione non riguardi tanto la mancanza di gratitudine, quanto un difetto nella capacità di riconoscere ciò di cui si dispone per dono. Talvolta non si sente ineludibile il bisogno di ringraziare per il bene ricevuto. Può voler dire che quel bene non si riconosce per quello che è, letteralmente si manca di “riconoscenza”, direi per incapacità ad afferrare l’idea che la vita e la salute non sono elementi acquisiti una volta per tutte da rivendicare come un possesso scontato.
Da cristiano, sono certo che la vita (e la salute) siano doni divini da tutelare e sorge spontanea in me riconoscenza e gratitudine verso il Signore per averli ricevuti.
Se rimanessimo entro il ristretto criterio del ringraziamento da galateo, come antidoto contro l’ingratitudine, inevitabilmente sarebbe come trasmettere l’idea che Gesù si possa offendere perché non gli è stato detto grazie. “Cosa si dice?” – diciamo ai bambini quando si dà loro un regalo- “Grazie!!!” – risponde giustamente il bimbo ben educato. Ma quando la prospettiva dalla quale diciamo “grazie” è quella evangelica, in presenza del Signore, non stiamo certo applicando le norme prese da un manuale di buone maniere…
Se faccio un regalo a qualcuno non penso al fatto che mi si dirà grazie; probabilmente chi lo riceve lo dirà, ma la riconoscenza e la gratitudine appartengono ad un livello diverso: la posta in gioco va molto più in là, è più grande, più seria.
Mi chiedo cosa possa aver vissuto quello tra i dieci lebbrosi che è tornato indietro per lodare Dio a gran voce. Si potrebbe rispondere che ha vissuto un’esperienza religiosa: per tornare indietro deve essersi reso conto che la sua guarigione era opera gratuita del Cristo, più precisamente deve essersi sentito accolto e toccato da un intenso amore ed essersi reso conto che la sua non è stata solo una guarigione fisica, ma vita riavuta, ritrovata, cambiata, solo per averlo chiesto con fede.
Quell’uomo mentre torna indietro, per così dire, va avanti: gettarsi ai piedi di Gesù esprime il desiderio di seguirlo, di vivere il suo insegnamento e quell’ “alzati e va’”, è un invito a rialzarsi, a mettersi in piedi per vivere realmente ciò che si è scoperto. Forse il vero miracolo non è neppure la guarigione dalla lebbra, ma la trasformazione dell’uomo.
Rimane il grande mistero: perché solo lui, perché non gli altri? Rimane il mistero della libertà umana di dire sì e di dire no, di rimanere a distanza o seguire il Maestro; ma non dobbiamo dimenticare che quell’uomo era un Samaritano, un impuro agli occhi di un israelita di allora. È proprio colui che è considerato impuro, peccatore, ripugnante, a sentire maggiormente il peso della propria condizione e dunque anche tutta la forza dirompente della liberazione fisica e morale dal male. In altri termini è nella malattia che sogniamo e apprezziamo la salute.
Similmente potremmo dire che è solo dopo aver accettato il peso e la preoccupazione della maternità, che si può piangere di gioia davanti al neonato.
Il ritorno dalla malattia rappresenta spesso la scoperta del dono straordinario di ogni istante di vita. Si impara o si re-impara a vivere, a riprendersi da qualcosa, a ritrovare gli altri e se stessi. Ed è qui che si prende la decisione: accettare di aprirsi alla chiamata a vivere, piuttosto che rimanere prigionieri dell’oscurità. Misteriosamente, la fede è liberatoria. Si può aver chiesto, con fede, a gran voce, la guarigione tenendosi a distanza perché ci si sente indegni. Una volta ottenuta la guarigione, chi torna a lodare? Colui che torna è “salvo”: “Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».”
Dei rimanenti nove sappiamo che, risanati, sono stati inviati dai sacerdoti: i nove sono persone ancora in cammino…il Samaritano invece non solo riconosce il dono, ma anche il donatore, sa di trovarsi alla Sua Presenza: non gli resta che vivere la Grazia: è salvo, già nella corrente della vita eterna.
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