Nodi da sciogliere

Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro.

4 settembre 2022 – XXIII Domenica del tempo Ordinario
Luca 14, 25-33

Ecco un altro passo dei Vangeli che si presenta ruvido, imbarazzante, anche nella traduzione ufficiale: “Chi non mi preferisce alla sua famiglia, al suo coniuge e anche alla propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la sua croce e non rinuncia a tutti i suoi beni, non può essere mio discepolo”.
Qui il verbo greco “miséo (odiare, disprezzare), viene reso nella forma apparentemente addolcita “non preferire” qualcuno a qualcun altro.
Potremmo concluderne che se uno non si fa monaco, non può essere discepolo. E io escludo fin dall’inizio che questo Vangelo sia riservato ad una categoria speciale, specie di superuomini e donne.
Detto questo: la vita è bella, ed è anche complicata.

Amare fino alla fine il coniuge, lo sposo, la sposa, i figli, i genitori, i vicini, e quelli che non sono tanto vicini, i compagni e le compagne. Amare fino alla fine quando arriva la malattia che deturpa la prima bellezza. Quando arriva il dubbio che si infiltra sornione nella piccolissima falla delle alleanze di fiducia. Quando arriva il momento delle sconfitte inarrestabili o qualche piccola gloria sorprendente. Come amare veramente fino allo “strappo”, jusqu’à la déchirure – come cantava Jacques Brel?
Gesù è realistico nel vangelo. Avverte, in poche parole, che sarà difficile mantenere le nostre relazioni senza trovare una fonte comune da cui attingere la forza necessaria per amare fino alla fine. E questo è il primo strato, la pelle del discorso.
Nessuna persona, per quanto amorevole, per quanto fedele, trova in un’altra la fonte perenne della propria passione amorosa: neanche nella coppia. Basterebbe pensare al numero delle coppie in crisi per farsene una ragione. Hanno semplicemente esaurito i loro “possedimenti”: parole d’amore, bellezza del corpo, prestanza, energie…e magari vivono da “separati in casa”, come si suol dire (odiandosi cordialmente oltre – a volersi bene, per carità!)
E questo è il secondo strato del discorso – il derma.
Una volta raggiunta questa condizione, se non succede dell’altro, ci si ritrova esausti. Prosciugati. E, frequentemente, arrabbiati: con la vita, con gli altri e con se stessi. Senza peraltro trovare la forza per uscire dall’impasse.

A questo punto – la carne viva del discorso – Gesù, che conosce la via stretta e sa di cosa parla, ancora una volta ci mette sull’avviso. Si rivolge a quella “molta gente” che andava con Lui, e la induce a riflettere. Gesù non illude, non è un incantatore di serpenti ( e neanche un politico che vuole essere eletto, tanto per dire…).
L’impasse, la matassa intricata è un risultato talora ovvio e prevedibile da tempo. Se solo ci fossimo fermati un attimo prima, a sciogliere qualche nodo!
Ma, a guardarla bene, appare per quello che è: un presupposto purtroppo talora necessario.
Si odiano gli altri, si disprezza la vita e se stessi. Ci si abbatte; il Cristo parla e affascina, si decide di seguirlo entusiasticamente… senza troppo riflettere.
E poi? Se i nodi non si sciolgono?
Per questo motivo, è detto nel Vangelo di questa domenica, è necessario calcolare le proprie forze prima di intraprendere l’impresa.
Per non essere derisi.
Derisi? E chi mi deride? E che m’importa, in ogni caso?
Semplice: gli empi deridono chi si ferma a mezza strada, potremmo essere noi stessi (cfr. Salmo 1). Di sarcasmo si nutre ogni forma di svalutazione.
Dunque, cosa vuol dire calcolare bene le proprie forze?
Farsi delle domande e darsi delle risposte.
Sei schiavo dello sguardo altrui? Sei schiavo del successo? Del tuo desiderio di comprare? Del tuo desiderio di avere un solido conto in banca? Di qualche sostanza? Del sesso? Del tempo che non hai? Sei schiavo del desiderio di primeggiare? Di essere importante, desiderato, ricercato, apprezzato, stimato? E da chi?
Non so, ma di domande uno se ne può porre molte…
Se per caso soffrissimo contemporaneamente di tutti questi desideri, noi cari re, potremmo mandare un’ambasceria a quel tizio, nostro nemico, e vedere su quali possiamo mediare e fino a che punto per avere la pace.
Ecco la transizione ecologica!
Un’ecologia della mente, prima di tutto: liberarsi dei rifiuti, cominciando col produrne di meno.
La Buona Novella è nella conclusione: puoi liberarti di tutte le catene, se vuoi; ti accorgerai che di molte cose, forse di quasi tutto, puoi fare a meno. Con gioia.
Con gioia?
Sì. Questo non lo posso mettere per iscritto qui, sarebbe inutile. Bisogna solo provarlo.

Il problema principale consiste nel fatto che il più delle volte le strade tra chi rimane con Lui e chi si allontana, si separano in un luogo preciso e molto frequentato: lì dove ci si prepara a caricarsi sulle spalle la propria croce, le proprie contraddizioni.
Fino a che si tratta del Gesù della fraternità e della condivisione del pane, sì, forse, ci sembra possibile. Ci piace essere bravi e buoni! Ma quando si tratta di essere e riconoscersi in quest’uomo disprezzato, “senza splendore né bellezza” (Is 35,2), le cose cambiano dolorosamente.

Dovremmo smettere di guardare la Croce nel senso romantico o sentimentale che non ha, come se appartenesse sempre ad altri dei quali aver pietà. Siamo noi stessi i pietosi, innanzi tutto, gli ultimi, i poveracci … finché non decidiamo di lasciar sbocciare ciò che di bello è – anche e soprattutto – in noi.
Gesù lo sa bene. Per esperienza. Ha gridato la Sua sofferenza. Ha lottato sotto e sulla croce, con tutte le Sue forze. Ha guarito, finché ha potuto, finché è stato esausto. Quando è arrivato il momento di unirsi ai più disperati del mondo – quelli che venivano giustiziati con Lui – ha ancora trovato la forza di perdonare. Ha rinunciato anche alla propria volontà, affidandosi a quella del Creatore.
Ha dimostrato che la fratellanza per amore esiste, anche nel mondo. Anche nel profondo dell’inferno, tra gli uomini: Lui, in quel momento, era “uomo”.

Portare la croce per camminare sui Suoi passi non è cercare la sofferenza, neppure sublimarla, né trasfigurarla; piuttosto è raggiungere le profondità oscure dell’abbandono desolato e desolante, piegarsi sull’abisso e vedere, per protendersi verso la luce e sbocciare, rifiorire, risorgere.

NB: In copertina, libera rielaborazione di “Maria che scioglie i nodi” per info clicca qui.

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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