Primeggiare

Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.

28 agosto 2022 – XXII Domenica del Tempo Ordinario

Dev’esserci per istinto negli umani un desiderio di consolidare o accentuare il proprio status di unicità al mondo, per essere riconosciuti inequivocabilmente dagli altri. E se non è possibile in senso positivo, tanto peggio: si cercherà di distinguersi come antieroi.
Mi viene in mente, a questo proposito, quel folle assassino che ha ucciso 21 persone, 19 bambini e due insegnanti, qualche tempo fa a Uvale in Texas.
Alcuni esperti di psicologia criminale affermavano che gesti come questi possono derivare dal desiderio di cambiare la percezione degli altri rispetto alla propria persona. La persona in questione, auto-percependosi come perdente, dunque priva di riconoscimento sociale, decide di attirare l’attenzione, agendo “in grande”, sotto l’aspetto dell’antieroe. Lo scopo è che “gli altri” ne parlino, non importa il “come”.
Fermo restando che questo spiega l’aspetto “folle”, ma non l’aspetto “criminale”, rimane da chiedersi se il gesto criminale sia l’espressione parziale e rovesciata di un bisogno di sentirsi importante e desiderato. Diciamo pure che non è questo l’ambito per andare oltre su questi aspetti, rimane tuttavia al centro dell’attenzione l’istinto di essere riconosciuti come “primi” in qualcosa, l’istinto di “primeggiare”.
Di fronte alla catastrofe umana dell’antieroe, che si conclude con una strage di innocenti, la narrazione del Vangelo di oggi può sembrare quasi rassicurante e l’esito della scelta di primeggiare si configura attraverso un impatto sociale insignificante. L’effetto della disgraziata scelta di occupare il posto di un altro ad un banchetto in pompa magna, lo “svergognamento”, da solo potrebbe bastare per la riabilitazione del malcapitato dal poco senso dell’opportunità.
In sintesi: evitate di prendere i primi posti in qualsiasi caso!
Gesù, dunque, mancherebbe d’ispirazione, limitandosi a insegnare le buone maniere? Le motivazioni date – evitare di perdere la faccia e di vergognarsi – sembrano poco elevate? E poi, ai giorni nostri, in quanti riescono a vergognarsi sul serio di qualcosa di simile?
Immagino che ci sia dell’altro in questa storia, ma cosa esattamente?
La trappola nella quale si può incappare, precludendosi la comprensione di tutta la questione, è vedere in essa del moralismo, immaginando ad esempio che Gesù stia predicando qui l’umiltà.
In sintesi: siate umili, evitate gli onori, cercate di passare inosservati: una sorta di “parabola del profilo basso”? Sullo stesso tono, dalla fine della storia, ricaviamo l’invito a dare senza contare e a rifiutare qualsiasi ritorno.

Questo, per me, è moralismo soffocante, e soprattutto non rispecchia la profondità della questione. Per come la vedo io, la chiave del racconto è nella persona di colui che invita: Dio stesso. È Lui, e solo Lui, a determinare il mio posto e la mia reale “grandezza”, la mia personale misura e collocazione nel Regno, le mie dimensioni e le mie coordinate. È Lui che mi dà una raddrizzata, quando ho la tentazione di prendermi per qualcun altro, o, al contrario, mi svaluto, considerandomi uno zero.
L’invito a sedersi all’ultimo posto significa quindi: evita di essere schiavo dello sguardo degli altri, prendi le distanze dalle varie gerarchie umane e dalle tue stesse categorie, affidati, per favore, alla valutazione di Dio stesso, al Suo giudizio.
Se abbiamo bisogno di sentirci unici, importanti e desiderati e non prendiamo in considerazione il fatto che senza la Provvidenza non siamo in grado di fare alcuna cosa, rischiamo di compiere gesti inadeguati a vari livelli di gradazione, lungo una dimensione sulla quale gli uomini sanno essere maestri: dal gesto scioccamente meschino, del tipo sgomitare per ottenere i primi posti, fino al crimine efferato, che vuole cancellare se stessi e gli altri dalla faccia dell’universo, del tipo stragi e genocidi.

Quel che alla fine può indirizzarci verso Dio è piantarla di guardarci con gli occhi degli altri, non potendo mai essere sicuri di non essere turlupinati dalla nostra o dall’altrui impressione falsata e affidarsi al principio che da soli non possiamo far niente; solo il Signore può riempire, con i Suoi notevoli mezzi – il nostro desiderio di essere importanti e desiderati.
Quando sperimentiamo la tentazione di giudicarci con gli occhi degli altri o di acquistare la loro attenzione e il loro affetto, è solo la fede che ci permette di rimanere liberi ed evitare le insidie. In sovrappiù, è questa stessa fede che permette di rivelarsi l’un l’altro la vera grandezza del nostro essere, quella parte dell’infinito che ci abita.
È davvero questa la nostra fede?

NB: per info sull’immagine di copertina clicca qui.

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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