Non temere

A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto;
a chi fu affidato molto, sarà chiesto molto di più.

7 agosto 2022 – XIX Domenica del Tempo Ordinario
Luca 12,32-48

L’idea che l’uomo sia solo al mondo di fronte agli eventi non è nuova, da sempre fa parte dei dubbi che arrovellano l’umanità. Alcuni si arroccano sul razionalismo con giudizi parziali, screditando le religioni, ed in particolare il cristianesimo, nella convinzione che i contenuti della fede siano, in fin dei conti, storielle per un’umanità bambina, di poco evoluta rispetto all’antichità, quando si credeva negli dèi, nei miti e nelle leggende. Secondo questa prospettiva, le sfide che gli uomini devono affrontare non potrebbero mai trovare una risposta in Dio, e con ciò la tematica religiosa sarebbe storicamente superata; i rischi e le sfide, cui gli esseri umani e l’ambiente sono esposti, dovrebbero essere affrontati facendo leva unicamente sulla scienza e le sue applicazioni, possibilmente estendendo le prestazioni dell’intelligenza umana attraverso quella artificiale.
E qui qualcuno citerebbe, entusiasta, le tesi del post-umanesimo…dandomi del chierico medievale.
Con tutta evidenza, è la scienza che combatte le epidemie! Dio non può più sfamare gli affamati, ammesso e non concesso che lo abbia fatto qualche volta in passato, inviando la manna dal cielo. Solo l’uomo può fornire risposte coerenti ai propri problemi insoluti.
Alcuni scienziati pensano addirittura (“pensano” o “fantasticano irresponsabilmente”?) di poter estendere la durata della vita umana ben oltre i limiti delle consuete attese di vita, attenuando o eliminando del tutto i danni della vecchiaia; aspirano così a realizzare – guarda un po’ – il mito faustiano dell’eterna giovinezza: proprio un “pensiero” geniale!
Se a livello tecnico tutte queste cose si potrebbero forse fare, nessuna risposta umana è altrettanto in grado, al momento, di contrastare la follia che frammenta le menti, almeno tanto quanto la vecchiaia il corpo. E non si tratta solo della minaccia atomica.

L’idea secondo la quale gli uomini sarebbero soli di fronte al loro destino non è nuova e, a guardar bene, non proviene neanche da “miscredenti”: già dall’alto medioevo l’ebraismo della Kabbalah ipotizzava che Dio, dopo la creazione, si fosse ritirato dal mondo per lasciare agli uomini il compito di gestirlo.
Non solo, leggendo la parabola di oggi, sembrerebbe addirittura che proprio Gesù stesso fosse di questo avviso: racconta del padrone di un podere (dietro il quale incombe ineludibilmente il volto di Dio) che si mette in viaggio, lasciando i suoi servi a custodire le proprietà e il buon andamento dei propri affari. I servi, in definitiva, mantengono tutto l’agio (la libertà) di fare come credono, ma, ad ogni buon fine, ricevono dettagliate istruzioni per la corretta gestione del patrimonio in assenza del padrone.
Si potrebbero seguire le istruzioni, oppure riporle nella scatola dell’imballaggio, come solitamente io stesso faccio per ogni aggeggio nuovo: non le leggo proprio; confido nella mia intelligenza!
I servi potrebbero anche andare oltre; per esempio, appropriarsi delle chiavi di casa, prendersela comoda e rovinare l’ambiente, depredare le riserve a proprio vantaggio rubacchiando qua e là, cominciare coscientemente ad opprimere e a sfruttare i sottoposti.
Non è poi così difficile infrangere le regole fondamentali della buona convivenza, di cui naturalmente tutti i servi si fanno paladini a parole… (Ci sta come inferenza personale?)
Nella parabola, ad ogni modo, per fortuna, è previsto il ritorno del padrone, e il recupero della situazione. Immagino la cosa come un risanamento dalla follia collettiva, oltre che come promessa escatologica.
I servi infingardi saranno puniti e i buoni premiati: moralista!
Ma – moralismo a parte: mio, inevitabile – a pensarci bene, il ritorno del padrone non sarebbe neppure necessario perché questa storia abbia un senso. Se io sfruttassi un dominio in nome del profitto personale e continuassi a farlo iniquamente (in modo non equo), ingiustamente, malvagiamente, ci vorrebbe poco a capire che prima o poi tutto crollerebbe; a forza di disuguaglianze, di disprezzo, rischierei la rivolta dei sottoposti e la totale disintegrazione del dominio. Certo, ci vorrebbe del tempo, ma se pensassi che si tratta di un tempo comunque umanamente lungo, che oltrepassa il confine della mia durata sulla terra, potrei anche dire: “Non sarà affar mio!”
“Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia.” (cfr Lc 12, 19 dal Vangelo della scorsa domenica).
Non è che siamo già arrivati qui?

Perché questa parabola? Per lasciare gli uditori perplessi, esitanti, preoccupati? Spaventati no, perché dice appositamente: “Non temere”.
Gesù parla di come dovrebbe essere gestito il mondo, ci avvisa, fornisce anche il manuale delle istruzioni: da leggere e rileggere.

Gli uomini sono venuti al mondo dotati di intelligenza. Gesù, parlando in nome di Dio, garantisce che noi umani siamo anche capaci di portare avanti la gestione del mondo a noi affidata: “Non temere, piccolo gregge, perché è piaciuto al Padre vostro di darvi il Regno”. Abbiamo la possibilità di agire per il meglio. È riposta in noi la Sua certezza (anche la mia), che seguendo la Sua strada, le Sue istruzioni, tutti potranno vivere in pace.
Naturalmente, non abbiamo la possibilità di impedire l’azione di coloro che non agiscono secondo le istruzioni, ma è nostra precisa responsabilità mostrare, indicare, illustrare i rischi di ignorare il Vangelo, percorrere il nostro cammino di cristiani missionari e fare tutto ciò che ci è possibile perché gli uomini rinsaviscano e intraprendano un cammino di pace.
Gli scettici non mancheranno, i detrattori continueranno ad accusarci di buonismo, gli ideologi di infantilismo e i soloni continueranno a fare il gioco dell’avversario.
Pazienza. Si tratta di aprire la strada con la presenza, agire in nome della fraternità, della condivisione e della speranza; porre segni di un cambiamento possibile. Vivere da umani. È ciò che Gesù chiede quando invita alla vigilanza.

Se fossimo stati tutti pronti, con le vesti cinte ai fianchi, un ambulante non sarebbe stato barbaramente ucciso sulle strade di una cittadina di provincia del centro-Italia. Non serve rimarcare che l’assassino ha rovinato anche la propria vita. Inevitabilmente e “giustamente” pagherà le percosse della vita. Ma dov’erano gli altri in quel momento? E non solo chi avrebbe potuto intervenire fisicamente per impedire l’omicidio, ma tutta la grande civiltà occidentale che non riesce a salvaguardare i deboli, gli emarginati, i soggetti a rischio, figli di una cultura del ridicolo, dove il mito dell’eterna giovinezza ha sostituito il legame sociale.

Forse sto guardando l’evoluzione del mondo dal lato sbagliato del telescopio? Attento e sensibile a tutto ciò che non funziona, sto dicendo che Dio ci ha abbandonato?
No, dico solo che quando le cose peggiorano, il dovere di vigilanza esige non solo di vedere le cose diversamente, ma anche di agire.
Forse dovremmo accorgerci delle persone intorno a noi, guardarle, vederle. Accorgerci di chi ama, di chi sostiene, di chi sfrutta e di chi umilia, di chi cavalca paure e inventa spauracchi, di chi distoglie l’attenzione dal vero per spostare i problemi dalla realtà alla finzione, per proprio tornaconto.
Noi dobbiamo scegliere da che parte stare.
La preghiera ci permette di fare un passo avanti, ci mette in contatto con questo mondo migliore che Dio ha creato, perché noi ne fossimo parte.
Prospettiva irragionevole?
Aspettiamo lumi e risposte dall’intelligenza artificiale?

“Non temere, piccolo gregge, poiché è piaciuto al Padre di donarci il Regno”.

NB: per info sull’immagine di copertina, clicca qui.

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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