Eredità

S.Luca

Anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni

31 luglio 2022 – XVIII Domenica del Tempo Ordinario
Luca 12,13-21

Rieccoci con un’altra storia di eredità andata storta, che esaspera l’inimicizia all’interno della stessa famiglia.
Le storie di eredità sono sempre complicate e antiche tanto quanto la ciotola di lenticchie di Esaù; non riguardano solo le famiglie numerose, non finiscono mai e possono perfino iniziare dall’armadio e dalla credenza della nonna o addirittura dal coltellino svizzero dello zio.
Ne ho sentite tante di storie di eredità, la cosa curiosa è che, ogni volta, chi me la raccontava diceva di essere stato vittima, derubato, spogliato da fratelli o sorelle senza scrupoli.
La conclusione cui sono arrivato è che nelle storie di eredità familiari ci sono solo vittime.
E nel vangelo eccone un’altra! La vittima: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità».
La cosa è seria: la vittima chiede giustizia a Gesù in persona.
Gesù in versione Azzeccagarbugli? Avvocato o notaio che gestisce l’apertura della successione? Come è mai possibile?
Certo, Gesù doveva essere percepito come persona autorevole e saggia: discuteva nel Tempio con i membri del Sinedrio l’interpretazione della Torah e dei testi dei profeti, prendeva la parola nella sinagoga, era un “rabbi”. Insomma, insegnava come uno che ha “voce in capitolo”.
Ma forse è un po’ fuori luogo, fuori tema chiedere aiuto a Gesù per un problema simile; Gesù quando parla di “eredità”, parla di “contenuti” assai diversi: “la terra” – che sarà eredità dei miti (Mt 5,5); “la vita eterna” (Mt 19,29); “il regno preparato fin dalla creazione del mondo” (Mt 25,34).
Non pare si tratti di oggetti commensurabili con qualsiasi ricchezza valutabile monetariamente, fosse anche quella del fondatore di Amazon.
Gesù chiarisce di non essere né giudice, né mediatore in queste situazioni.
Come potrebbe chicchessia essere più autenticamente erede di alcunché rispetto ad un altro, nel senso predicato dal Nazareno?
Devo essere ancora più chiaro: da nessuna parte, né nel vecchio né nel nuovo testamento, c’è una condanna generale della ricchezza: nell’Antico Testamento era vista anzi come una benedizione per il popolo ebraico quando rispettava le leggi di Dio. Nel cattolicesimo, coerentemente, avendo compiuto un notevole salto di pensiero verso la famiglia intesa come universale comunità umana, siamo tutti “eredi” e nostro unico compito è custodire, coltivare e gestire al meglio, per quanto ci è possibile, il pianeta terra e l’intera comunità umana che lo abita.
Se gestiamo la creazione, che include l’umanità stessa, per il bene comune, secondo la volontà di Dio, allora saremo inondati di benedizioni. In questa prospettiva, le eredità familiari e personali non esistono, perché non esiste proprietà personale; esistono solo beni e talenti affidati da Dio agli uomini e alle donne di questo pianeta.
Ma le cose sono sfuggite dalla memoria e dalla mano, come spesso accade alle persone che dimenticano volentieri o non hanno ascoltato le sentenze dell’Ecclesiaste.
La ricchezza che le nostre società hanno prodotto, accumuli di conoscenza, scoperte scientifiche e mediche, tecnologia, saper fare, cultura, a cosa servono?
Troppo occupati a salvaguardare l’interesse economico (che riguarda solo una minoranza), abbiamo fantasticato di vivere immersi in una comoda eternità fatta di beni materiai, mentre la disuguaglianza sociale si è infittita e sta bussando alla porta di casa nostra.
Gesù ci sfida con una condanna irrevocabile:
“Stolto colui che accumula tesori per sé: questa stessa notte gli sarà chiesta l’anima”.
Stolto e insensato è chi confonde il fine con il mezzo, in altri termini chi confonde l’avere ovvero l’ereditarietà e la proprietà dei beni mobili e immobili, con l’essere, il progetto cristiano per la cura del bene comune costituito dall’intera umanità e dalla terra, nella misura in cui le nostre capacità e conoscenze ci permettono di occuparcene.
Stolto e insensato è chi confonde il programmare e l’agire univocamente teso alla produzione per il profitto con la vitasenza accorgersi di avere già perso la libertà, essendosi incatenato da solo.
Gesù condanna quindi non il ricevere un’eredità familiare, ma l’accumulo di beni per se stessi.
Gesù parla di eredità, di un bene che si riceve, anche senza per forza aver sudato per ottenerlo. (Cfr la Terra, il creato, la vita…).
E non si tratta solo di cose materiali: ogni tradizione familiare basata sul rispetto dell’altro come di se stessi e sulla salvaguardia del bene comune come più vasta eredità umana, va salvaguardata, curata, trasmessa.
Gesù invita a ritrovare il senso di ogni eredità, a restituire il senso all’ essere, e dunque alla nostra personale esistenza, come percorso limitato nel tempo.
I miti, che erediteranno la terra, sono coloro che ritrovano questo senso.
Questo è l’unico tipo di progetto, un vero e proprio progetto di vita, in cui Gesù può accompagnare.
In fondo in fondo le eredità ricevute continuano ad appartenere a Dio, perché Dio non è morto, è l’uomo che tende a vivere da morto; vivrà chi saprà curare il creato (la parte di cui è chiamato ad occuparsi) a beneficio di tutti. E questo sarà l’oggetto anche del vangelo di domenica prossima.
Non c’è da meravigliarsi se la parabola annuncia per il ricco insensato la morte in arrivo per la notte seguente. È un avviso per tutti noi: se sentiamo come il ricco insensato siamo quasi già morti, della morte definitiva di cui parla San Paolo.
Avvisati, abbiamo ancora del tempo per rinsavire, prima che la notte si faccia troppo profonda.
Altrimenti l’unica cosa che avremo vinto, al massimo, sarà di essere i più ricchi del cimitero … 
Ma questo non è mai stato scritto definitivamente per alcuno.
Gesù non è venuto su questa terra per condannare, ma per salvare e – prima di stasera – abbiamo la possibilità di cambiare rotta…

“Cercate prima il regno di Dio e tutto sarà dato anche a voi”.

NB: per info sull’immagine di copertina clicca qui.

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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