Il Prossimo

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico

10 luglio 2022 – XV Domenica del Tempo Ordinario
Lc 10,25-37

Un dottore della Legge, uno che la sa lunga, come noi, come me, e anche come i leviti, tutti uomini impegnati, chi responsabili delle liturgie, chi dei canti, chi della manutenzione dei locali…
Chi è il mio prossimo?
Quello lì, sul ciglio della strada, spogliato, percosso e mezzo morto.
Ma… e il rispetto della legge? L’osservanza delle norme igienico-sanitarie? Il decreto ministeriale? Le norme prudenziali? Il distanziamento sociale?
Eppure, ne conosco almeno tre, che sono stati prossimi di qualcuno nel senso che qui sembra da intendere: sono miei confratelli, non più giovani.
Nel 2020 erano tutti e tre a Parma, ora lì ne sono rimasti due, il terzo è ripartito per la missione. Durante la prima ondata, quella che ha colto tutti di sorpresa, tra gli anziani della Casa Madre molti si sono ammalati di Covid e tanti se ne sono anche andati, sono morti. Non si faceva in tempo a curare tutti, perché tutta la regione era sotto scacco, tutta l’Italia. Allora, quei tre saveriani hanno pensato che loro avrebbero dovuto occuparsi dei malati in casa; d’altronde, personale medico non ce n’era, e neanche quegli infermieri che solitamente venivano a lavorare lì: erano tutti a casa, il medico del lavoro così aveva ordinato.
Questi tre padri hanno lasciato perdere il distanziamento sociale, perché evidentemente nella bilancia sul loro cuore pesava di più la prossimità sofferente dei loro confratelli ammalati: il prossimo di quella particolare ora della vita. Tutti e tre si sono chiusi nel reparto ammalati ed hanno fatto gli infermieri per quelli che erano allettati.
Eccoli: tre esempi pratici, che hanno incarnato la Parola. Come molti altri, del resto, in tutto il mondo.
Tutti, in fondo in fondo, siamo sempre tentati di stare lontano da una persona malata: la paura di essere infettati, contagiati, sporcati, sacrificati, depredati. La paura di non farcela. Ecco. Ci sono molti tipi diversi di paura, dipendono dal carattere e dalla storia di chi la prova. Le paure esistono. Per tutti. Anche per i samaritani. E allora?
La parabola del “buon samaritano” pare dire che non c’è tanto da farsi domande; se cerco il mio prossimo, basta che mi guardi attorno. Potrei essere prossimo del più mal messo proprio lì accanto.
Gesù inverte la nostra ordinaria prospettiva: riporta la persona al centro del discorso. La domanda non è “Chi è il mio prossimo?”, ma “di chi sono il prossimo?”
Se ci poniamo la domanda così formulata, la risposta potrebbe essere sorprendente.
Chi è il mio prossimo? I poveri, i bisognosi, i malati, i carcerati, gli ultimi. Bene, certo, ma la prospettiva del Maestro è più urgente ancora: “A chi sono prossimo ora?” C’è qualcuno che soffre ora, lì accanto a me; mi prendo la briga di fermarmi, anche se il mio progetto in quel momento è un altro…
Ora, dalla parabola, sappiamo che spesso sacerdoti e leviti non sono un buon esempio di prossimità, sciaguratamente proprio quelli che – si suppone – dovrebbero essere di buon esempio.
Mi rendo conto che per ridurre la mia distanza dal vicino, intanto posso spostare l’attenzione sulla vittima tra quelli che mi sono vicini qui e ora, non sul fatto che “idealmente” ci sono in giro vittime da soccorrere. Il “mio” prossimo non è una nozione statica, un “già dato”, è il frutto di uno spostamento da parte mia.
Insegnare la fede è bene, viverla è decisamente meglio. Non è non un lusso: “Fai così – dice il versetto 28 -, e avrai la vita”. Farmi prossimo è ciò che mi rende vivo, e mi pacifica.
Ancora: Cristo occupa le due posizioni chiave nel testo, il prossimo e la vittima.
Anzitutto, si fa prossimo di questo Dottore della Legge, così lontano da lui. Quest’uomo lo interroga non per creare legami di amicizia, ma per “metterlo alla prova”. Gesù, invece, si presta al dialogo raccontando una lunga parabola e gli indica “il luogo” in cui è.
Questo mi ricorda tanto la prima domanda rivolta all’uomo: “Adamo dove sei?” (Gn 3,9).
“Il mio prossimo” per il Dottore della Legge, come per tutti noi è Gesù, lo straniero che viene da altrove, facendosi incontro.
Allo stesso tempo è ancora Lui che opera il grande spostamento per diventare nostro prossimo, è Lui la Parola che viene ad abitare “nella bocca e nel cuore” dell’umanità.
Nei segni che dà, si rivela come “medico”, versando olio e vino sulle ferite.
La locanda dove viene portato il ferito mi ricorda quella di Emmaus, nella quale annuncia il suo ritorno, parla della sua venuta nella gloria, quando salderà tutti i nostri debiti.
E qui siamo invitati, come il Dottore della Legge, a “fare lo stesso”: “Abbiate tra di voi (e dentro di voi) gli atteggiamenti che furono quelli di Cristo Gesù…” (Fil 2,5). Cfr anche Matteo 25,35-36: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare (…), senza alloggio e mi avete accolto (…)”. E si potrebbe aggiungere: ferito, nel fosso, e vi siete presi cura di me; e ancora: crocifisso, e mi avete rivolto lo sguardo.
Ci sono momenti in cui si è realmente impotenti di fronte alla sventura. E allora anche solo uno sguardo potrà essere riconosciuto come segno di prossimità, perché quello sguardo non sarà stato distolto, rivolto dall’altra parte: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”. Qui il Cristo si identifica con tutte le vittime della sventura, della malattia, dei cataclismi, delle guerre.
Facendoci “vicini” agli ultimi e ai sofferenti, ci facciamo prossimi a Dio, vicini a lui, attraverso gli altri. Così, alla fine, l’amore per Dio “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze” si fonderà con l’amore per il Cristo e per tutti coloro che incontriamo nella verità.
“Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lev 19,18): non si possono amare gli altri senza amare se stessi e non si può amare e ingannare se stessi allo stesso tempo. Dall’inganno procede solo il disprezzo, l’indifferenza, il voltarsi dall’altra parte.

Gesù sembra dire a quel dottore:
Adamo, dove sei? Perché ti nascondi? Perchè hai paura? Cosa sono tutte queste domande – le foglie di fico! – dietro le quali ti nascondi a me e a te stesso? 

NB: per info sull’immagine di copertina, clicca qui.

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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