Volto a volto

S.Luca

Li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi

3 luglio 2022 – XIV Domenica del Tempo Ordinario
Luca 10,1-9

L’invio dei settantadue discepoli potrebbe essere una missione affidata a un gran numero di persone, molto maggiore della cerchia ristretta dei dodici. Vanno “a due a due”, trentasei coppie per evangelizzare la regione, inviate di città in città, “avanti a sé”, davanti al suo volto.
Qualcuno traduce al plurale, “davanti ai suoi volti”; non soltanto i discepoli hanno la funzione di messaggeri e testimoni in vista dell’arrivo del Cristo, ma il volto del discepolo si trova davanti al volto del maestro, che assume i tratti del volto dell’altro. Nei figli della pace s’incarna la presenza del Maestro.
Il tema focale per me è il “faccia a faccia” tra pace e pace, tra la pace ricevuta e la pace data: nel faccia a faccia, nel volto a volto, si riconoscono i figli della pace. La novità sta nello scoprirsi in relazione con una presenza di pace che abita me e l’altro, ma che eccede l’uno e l’altro. Il Cristo è singolarmente, personalmente e conflittualmente evidente in ogni figlio della pace. Conflittualmente? Sì, perché obbliga ad uno scatto, occorre vincere una resistenza, a volte molto forte, prima di riconoscersi “in proprio” figli della pace.
E non è roba da lupi…
“Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe”.
Ci sono anche i lupi. Alcuni credono siano i “figli della Lupa”, quindi i Romani e dunque si apre il fronte dell’interpretazione politica, come quando nel vangelo della moltiplicazione dei pani viene chiesto ai discepoli di organizzare la folla in gruppi: in che cosa se non in comunità?
Ma la pace non è un fronte politico, come dimostrano le mediazioni politiche che nulla possono, se non realizzare labili tregue armate. In fondo cosa abbiamo vissuto negli ultimi ottanta anni, dopo la fine del secondo conflitto mondiale? Una lunga tregua molto bene armata: si era in “pace”, con spese militari faraoniche.

“Infatti, dal più piccolo al più grande, sono tutti quanti avidi di guadagno; dal profeta al sacerdote, tutti praticano la menzogna. Essi curano alla leggera la piaga del mio popolo; dicono: ‘Pace, pace’, mentre pace non c’è”. (Ger 6,13-14).

“Andate” “Avanti!” “Davanti”. Non è dunque solo un’esortazione, è un comando necessario. Occorre andare.
Altri “complementi” vengono vietati: non soltanto tane e nidi, come nel Vangelo di domenica scorsa, ma anche borsa, bisaccia, sandali e perfino urge modificare il comportamento da mantenere: “non salutate nessuno lungo la strada”, ovvero niente passato che ingombri, niente presente cui aggrapparsi, solo la “nudità” come strumento e modello di una missione da attuare, di un percorso da fare.
Non c’è altro, non c’è altra possibilità reale. Se si vuole incontrare la pace.
Non si tratta di un’osservazione accidentale, ma di un’insistenza bruciante su ciò che veramente è, sull’unico elemento reale: la persona stessa, spogliata, “nuda” nella sua fragilità, ma non gravata, tutta disponibile per il “faccia a faccia”. Davanti al suo volto. Una dipendenza totale insieme ad un possibile illimitato. Questa è la condizione dell’uomo. Non un’altra. È vero.
Mangiare e bere ciò che viene offerto, riposare sono mediazioni per l’incontro, laddove ciò che s’incontra è la Parola: atteggiamento rispettoso che va ben oltre le regole dietetiche religiose, ogni mensa fraterna è già, in un certo modo, mensa eucaristica. La pace è la pienezza della vita e delle relazioni, la felicità dinamica e concreta, il segno del regno messianico.
Il Dio che manda è anche colui che accompagna, perché è in gioco la Sua pace e con la Sua la mia e la tua. La nostra.
Nel nostro passaggio non c’è un invito alla conversione, c’è solo una “semplice” offerta di pace ai “figli della pace”.
“Pace a questa casa”: niente di più, ma neanche niente di meno…
Lo “scuotere la polvere” di cui si parla nella versione più lunga del vangelo di oggi dice un tragico e doloroso riconoscimento del fallimento. La pace messianica è efficace per chi la riceve, un vero dono, chi la desidera per sé, la augura davvero: è una parola benefica e benedicente.
Come dirlo oggi? Quando la pace incontra la pace, lì c’è il Regno di Dio.
Allora cos’è un missionario? Solo qualcuno che cerca figli di pace per condividere con loro la pace di Dio. Davanti a chi lo rifiuta, è impotente. Se la pace offerta non è ricevuta ritorna a chi la concede, è quasi ovvio. Se la pace non è accolta, o è falsamente accolta, si tramuta in polvere, quella stessa di cui è detto “polvere ritornerai”.
Non abusare dell’ospitalità per me è un invito a non stabilirsi nel luogo dell’altro, luogo che non ci appartiene, che non sarà mai la meta, ma una tappa verso la meta. Stabilirsi nel luogo dell’altro, prendere il suo “posto”, significa perdere di vista la finalità, perdere di vista la pace.

La città è il campo missionario, luogo della vita, della storia, del potere, della conversione, dell’insediamento, della costruzione di comunità (il munus), dell’accoglienza o del rifiuto collettivo del Vangelo. Luca – che era medico – insiste più sulle cure e meno sulla guarigione. La “cura” del malato è la possibilità sempre aperta di onorare il volto dell’altro: il medico cura, Dio si occuperà della guarigione, lenta o immediata. L’assoluto si è avvicinato, ora tutto è possibile.
Quando Dio chiede, sostiene. Sempre. Anche quando ci credo poco. E dubito tanto.
Non è di Dio che dubito, ma dei nuovi figli della lupa, della loro assurda voglia di guerra e dei lupi travestiti da agnelli.

NB: Per info sulla foto di copertina, clicca qui.

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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