Corpo e sangue di Cristo

Moltiplicazione dei pani e dei pesci

Non abbiamo che cinque pani e due pesci

Domenica 19 giugno 2022 – Lc 9,1-17

Ci sono eventi che ricordano costantemente la realtà del sangue e del corpo. Che si abbia o meno paura del corpo e del sangue, certo si tratta della realtà intrinseca che appartiene alla nostra esistenza, e quindi è necessario guardarla bene.
Guardare il corpo e il sangue in faccia è ciò che propone l’odierna liturgia con la celebrazione del Corpo e del Sangue di Cristo. Alla guida di questa celebrazione, troviamo il racconto comunemente chiamato “la moltiplicazione dei pani”.
Potremmo facilmente perderne il senso dicendo a noi stessi troppo in fretta: “Ah sì! È Gesù che compie un altro straordinario miracolo moltiplicando i pani per sfamare migliaia di persone”. 

Ora provo a dare un’occhiata più da vicino.

Gesù aveva inviato i Dodici in missione per annunciare il Regno di Dio e per operare guarigioni (cfr Lc 9,1-6). La scena propostaci oggi inizia al ritorno dei Dodici dalla loro missione. I discepoli riferiscono a Gesù tutto quello che hanno fatto e si accingono, come Gesù vuole, a ritirarsi a Betsaida. La parola “ritiro” indica, a mio parere, non un momento di riposo, neanche l’ascolto di una conferenza erudita – come spesso capita per i nostri esercizi spirituali o nei ritiri comandati che siamo soliti fare a data fissa – piuttosto movimenti dialogici di intimità e di concentrazione e approfondimento sulla propria condizione personale, sul rapporto con gli altri e con Dio. Il che escluderebbe l’utilizzo del wi-fi….e della rete social almeno per un po’ e anche della pur gradita possibilità di avere persone intorno che provvedono a cucinare i pasti, a riordinare e pulire gli ambienti. Questo è importante per me: non che il riposo o l’aiuto di qualcuno non vadano bene di per sé, ma mi è impossibile escludere da momenti di “ritiro spirituale” tutto ciò che ciascuno di noi deve pur fare ogni giorno per camminare sulle proprie gambe per le vie del mondo. Come tutti.

Altrimenti non si spiegherebbe neanche il “date voi stessi loro da mangiare”: un nutrimento che sostiene altri appunto a camminare liberi, a loro volta, e sulle proprie gambe per le vie del mondo. Sto parlando di missione.  Ciò che segue nel Vangelo di oggi dà a Gesù l’opportunità di mostrare ai discepoli cosa significhi essere “pastore” e cosa sia la missione. Questa è la cornice dentro cui, penso io, si debba leggere la storia detta della moltiplicazione dei pani.
Gesù inizia parlando alla folla del Regno di Dio e riportando alla salute le persone che ne hanno bisogno. Questa è anche la missione che ha affidato ai discepoli; in altri termini fornisce l’esempio di ciò che dovranno fare.
I discepoli fanno notare – in modo molto “pastorale” – che è ora di congedare la gente. Che vadano a cercare riparo e cibo nei dintorni! Altrimenti bisognerà andare a comprarlo in proprio per tutti e cinquemila: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente».
Mi sembra di ascoltare me stesso: “Ma cosa posso fare io davanti a tutte queste malattie, a tutte queste guerre, a tutti questi bisogni del mondo? Ho solo due mani e due gambe…e ovviamente neanche una lira.
Stando a Luca, Gesù risponderebbe: “Sta a te, a voi, dar loro da mangiare”.
Quindi, il da farsi: organizzare la folla in gruppi in modo da formare diverse comunità, e dopo che Gesù avrà benedetto il pane e lo avrà spezzato, distribuire il pane e il pesce.
La storia della moltiplicazione dei pani è una storia sul ruolo e sulla missione del discepolo, e quindi una storia su di noi. Non è nemmeno un miracolo in senso stretto. Mancano i tre elementi fondamentali: un supplicante infelice che chiede sia fatto qualcosa per lui, l’espressione di fede del richiedente e, infine, lo stupore o la meraviglia per l’azione salvifica compiuta.
Qui ho cercato invano una parola sulla meraviglia e sullo stupore, avanzano dodici ceste sì, ma non c’è neppure qualcuno che accenni un “ringraziamento”.
Qual è l’atto determinante di Gesù in questo contesto, cosa fa esattamente?
Prende i cinque pani e i due pesci, alza gli occhi al cielo, li benedice, li spezza.
Espressioni come “Benedetto sia Dio” si rincorrono sia nel Vecchio come nel Nuovo Testamento; le parole di Gesù dicono che il pane e il pesce, e per mezzo di essi tutto ciò che è di natura materiale, sono santi e sono presenza di Dio, vengono da Dio. Gesù alza gli occhi al cielo probabilmente proprio per ricordarci questo, per ricollegarci all’origine.
Spezzare il pane precede il con-dividere, il dividere con…, e per ciò stesso il mettere in comune, come l’etimologia stessa della parola “comunione” lascia intendere. La parola latina “munus” significa al tempo stesso dono e obbligo.  Il pane, il pesce e tutto ciò che, al mondo, nutre l’uomo, materialmente e spiritualmente in un indissolubile nesso, è già benedetto e vuole essere condiviso prima di essere sostegno per noi stessi. Come diceva un vecchio e caro mio professore di morale: “Se hai, hai per dare”. E a mio parere è questo il senso del dirsi cristiani. Di questa fede, di questo nutrimento, profondamente radicato nel Vangelo, può nutrirsi l’umanità intera. Se ciascuno di noi potesse credere in questo e camminare sulle proprie gambe per agire di conseguenza, il mondo conoscerebbe giorni migliori. Non ci si salva da soli. Abbiamo bisogno di cristiani adulti, non c’è bisogno di clericalismo, né di ridondanti teorie astratte, né di anacronistici orpelli.
Quando celebriamo il Corpo e il Sangue di Cristo, proclamiamo la veridicità del Vangelo; durante l’adorazione, o la messa stessa, sarebbe veramente un peccato limitare e rinchiudere la nostra immaginazione a questo piccolo ospite bianco in un’atmosfera pia, lontana dalla vita reale, che si accontenta della fantasia, senza percorrere le strade del mondo e senza agire concretamente in favore del nostro prossimo. Il mondo ha bisogni di missionari profondamente credenti nelle parole di Gesù, non di chierici in cerca di visibilità, cui corrispondono nostalgici baciapile, che corrono il rischio di far dire a Gesù, alla folla – e non ai discepoli – : “Date voi stessi loro da mangiare”.
È il momento di guardare il corpo, il nostro corpo, il corpo dell’ebreo Gesù di Nazaret, e dire: benedetto sei tu. Questo corpo è buono, la sensualità è buona, la tenerezza è buona, ma anche il corpo malato, vecchio, cambiato e il corpo non ancora formato sono buoni. Se guardiamo solo al corpo sano, bello, giovane, o che tale, agghindato, vuole apparire, le relazioni d’amore sono già morte ancor prima di essere nate.
Essere discepolo forse significa cominciare col riconoscere la nostra e altrui umana e concreta materialità, scoprire la benedizione di Dio su ogni cosa e farsi distributori di quei pani e di quei pesci di cui sempre avanzano dodici ceste.Voglio ora ricordare un passo di San Paolo che mi è molto caro, dal discorso di addio agli anziani di Efeso (At 20,32-35):
“E ora vi affido a Dio e alla Parola della Sua Grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da Lui sono santificati. Non ho desiderato né argento, né oro, né il vestito di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: ‘Si è più beati nel dare che nel ricevere!’”

per info sull’immagine di copertina clicca qui.

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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