Trinità

Santissima Trinità – Domenica 12 giugno 2022
Giovanni 16,12-15

Quando abbiamo celebrato l’Ascensione, abbiamo anche festeggiato la responsabilità umana.
Visto che Gesù è asceso al cielo, non è più sulla terra, è fuggito da tutti i luoghi teologici e simbolici in cui lo si voleva rinchiudere: la Chiesa, il pane e il vino, la nostra esperienza spirituale, i sistemi di pensiero, anche i più giusti e più intelligenti. Questo altrove ha liberato uno spazio per l’azione umana.
Nel discorso che fece davanti ai suoi discepoli prima di morire, Gesù lasciò loro una parola: «Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. […] Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16, 7 e 13).
Essere un discepolo è ascoltare la chiamata a vivere nello Spirito di verità.
La verità è un’esigenza di lucidità che sfida e mette in questione il nostro abituale modo di vivere.
Oggi si parla di “post-verità” per dire che i fatti oggettivi hanno meno influenza nel plasmare l’opinione rispetto agli appelli alle emozioni. La qualità principale di un argomento non sarebbe la sua accuratezza, ma la forza dell’emozione che suscita in chi lo ascolta. Quindi, bugie (e dittatura) possono andare di pari passo: se la verità non è più un terreno comune, allora tutto è possibile. Si potrebbe affermare che l’essenza della post-verità è totalitaria e quindi la forza di un’idea sbagliata può condurre al totalitarismo. Come sempre. Non è una novità.

 “Quello che dico riguarda chi, ma non chi …” – “Io dico, ma non sto dicendo che….” – “Qui lo dico e qui lo nego…”. Sono frasi terribili, le sento spesso, sembrano banali, ma sono segnali di un discorso perverso, modi di una parola distorta, che, millantando di essere svincolata, vuole vincolare chi ascolta, imbrigliandone la parola. In ultima analisi è un tentativo di esercitare il potere su chi ascolta.
La verità della parola, però, impegna chi la pronuncia, non chi la riceve; “qui lo dico e qui lo nego”, detto a quattr’occhi in privato, è un non volersi assumere la responsabilità del proprio giudizio personale e dell’azione che ne deriverebbe; detto in televisione è un tentativo di manipolare gli ascoltatori, mentendo: discorso banale e maligno allo stesso tempo.
Una parola non è mai priva di significato e dire qualcosa non è mai dire nulla, anche se si dice una sciocchezza. Le parole possono sembrare insignificanti e vuote, in ogni caso indicano il vuoto interiore.
Le parole vuote, svalutate, strumentalizzate, distorte, false sono altrettanti sintomi dello stile di vita attuale. A forza di “infox” (nuovo nome per “fake news”, che era il nuovo nome per dire “notizie false”), non sappiamo più se ciò che ci viene detto sia vero. A forza di chiacchiere, abbiamo l’impressione che tutte le parole servano solo ad affogarci in un oceano di vaghezza. Spesso ci troviamo costretti a credere che ciò che è male, è per il nostro bene. A forza di comunicazione, diffidiamo di qualsiasi parola, mentre al contrario il significato primario della parola “comunicazione” è riferito al “mettere in comune”, al condividere che presuppone la fiducia e vi contribuisce.
Viviamo immersi in una nuova lingua, imbastita di parole e frasi forgiate per manipolare il pensiero. “La guerra è per la pace” – “La libertà è schiavitù” – “L’ignoranza è forza”: non si tratta soltanto di ossimori, è la vera e propria neolingua il cui vero obiettivo è equalizzare e uniformare l’importanza, o l’insignificanza, di ogni opinione, cioè, in definitiva, di ogni pensiero, di ogni presunta libertà.

Viviamo immersi in un universo di slogan, di invettive, di manipolazioni, dentro il quale la reattività, l’emozione, il momento vengono elevati a rango di verità, mentre la parola è la base della fiducia nell’oggettività di ciò che viene detto, della sicurezza di poter contare su tale oggettività nella parola scambiata. È accompagnata anche dal senso di una inevitabile soggettività, ma la fiducia sta nel rapporto autentico tra coloro che la scambiano. Se non c’è fiducia nella parola e in chi la condivide, allora non c’è vita reale possibile insieme. Questo è il male che consuma il nostro tempo.
La parola è sempre performativa, produce un effetto, non è mai insignificante. Quella falsa produce falsità e la falsità produce sfiducia, rabbia, violenza, scatenamento di impulsi. L’assenza di una vera parola porta alla morte delle relazioni. Stiamo attraversando una grave crisi di fiducia, ed è in questo contesto che ricevo il testo offerto per questa domenica.

Di fronte alla parola perversa, la Parola di Dio si dona come speranza.
Vediamone un esempio: Gesù davanti a Pilato.
Pilato interroga Gesù sulla sua regalità. Gesù evoca una parola di verità: «Sono nato e sono venuto nel mondo per testimoniare la verità. Chiunque appartenga alla verità ascolta quello che dico”.
Pilato, uomo abituato alle strategie politiche e militari e al pensiero “sofisticato”, gli chiede: “Qual è la verità?”: una replica celebre.
La domanda è essenziale, anche se, sulla bocca di Pilato, sembra puramente retorica. Infatti, sebbene lo ritenga innocente, Pilato condannerà a morte Gesù, come “Re dei Giudei” (Gv 18,39; 19,3; 19,14; 19,19), come se non avesse ascoltato nulla delle Sue parole.
La parola di Pilato è quella di chi vuole mantenere il potere, quindi fa domande prive di un senso adeguato al contesto – il colloquio tra Pilato e Gesù non è una tavola rotonda di filosofi – lo stile colloquiale di Pilato porta alla morte di un uomo innocente.
Gesù, che non è lì per difendersi, ma per dire una parola al servizio degli altri, è in sé parola di verità, che chiama all’ascolto, ma Pilato non lo capisce o fa finta di non capire.
La domanda di verità attraversa tutto il Vangelo di Giovanni. La parola “verità” (ἀλήθεια) si trova in Gv 25 volte. La verità evoca Dio: per adorare il Padre in spirito e verità (Gv 4,23-24), la sua parola è verità (Gv 17,17). Una parola incarnata: il Verbo si è fatto carne, è venuta in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità (Gv 1, 14.17), Giovanni Battista ha testimoniato la verità (Gv 5,33), Gesù dice la verità che viene da Dio (Gv 8, 40.45.46; 16,7), egli è la via, la verità e la vita (Gv 14,6). Si dona nello Spirito Santo: Spirito di verità (Gv 14,17; 15,26; 16,13). Riguarda i credenti: colui che agisce secondo la verità viene alla luce (Gv 3,21), lo Spirito vi condurrà alla verità tutta intera (Gv 16,13), saranno santificati nella verità di Dio (Gv 17,17.19).
Il diavolo, figura simbolica del male – ma il male non è affatto simbolico – si caratterizza per il fatto di non collocarsi nella verità, perché in lui non c’è verità (Gv 8,44).
Quando Gesù parla di verità a Pilato, gli parla della buona novella donata dal Padre, portata dal Figlio, vissuta nello Spirito, quella è la verità annunciata da Gesù. Vale a dire, qualcosa di solido, affidabile, costante; consiste in presenza, amore e speranza.
La vita di chi crede si sviluppa in questa verità, mentre il male si sviluppa proprio nell’assenza di verità. Se ci sono tre cose false alla radice del male, sono: latitanza, malanimo, sfiducia.
Questa verità è oggettiva, c’è poco da contrapporre.
La forza delle parole di Gesù, dei testi della Bibbia, del Vangelo, della Parola di Dio, è questa: interpella noi direttamente.
Come scrive Paolo a Timoteo: “Le sacre Scritture possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Timoteo 3,15-16).
Questa verità è anche soggettiva, cioè è incontro tra “soggetti”: Dio e me, Dio e noi, noi intorno a Cristo, la Chiesa nello Spirito Santo. Questa verità non è solo una questione di contenuto, è fatta di incontro, condivisione, preghiera, meditazione e compagnia. È una chiamata alla relazione, perché essa stessa è persona: Cristo, il Verbo fatto carne, è presenza di Dio con noi.

Questo risuona fortemente nel nostro mondo in cui il discorso è perverso, distorto, fuorviante, dove l’altro è strumentalizzato, manipolato, rinchiuso. Il Vangelo è Parola vera di speranza e resistenza in questo mondo in crisi di verità.
Non è tutto perduto. Come in altri momenti storici di crisi, la verità condivisa può aprire nuovi orizzonti: raduno, liberazione, regno infinito di Dio, alfa e omega (inizio e fine), colui che è, che era e che viene.
Forse dovremmo smettere di lamentarci delle disgrazie del mondo, smettere di condannarlo o di separarci da esso. Ma, nel mondo, su questa terra, qui e ora, dobbiamo essere portatori di una parola di speranza e di ricostruzione, di una parola che è insieme oggettiva – il peso delle parole – e soggettiva – la forza di un impegno.
Una parola che non è presa di potere, ma di servizio, una parola che apre relazioni di fiducia, autentiche, costruttive, nella verità. Una parola di verità che impegna in prima persona. Cristo fa di noi un «regno di sacerdoti», dice l’autore dell’Apocalisse (Ap 1,6): ci fa esseri di preghiera, di lode. «Chi appartiene alla verità ascolta quello che dico», dice Gesù (Gv 18,37) e ci fa uomini di verità. Questa verità vive nelle nostre parole così come nei nostri impegni. Non una verità teorica, ma una verità reale: ogni essere umano è pienamente umano, e il Vangelo lo rende libero. (cfr Gandhi e la “Satyagraha” – abbraccio della verità, forza della verità).
Al termine della sua bella grande preghiera al Padre, Gesù chiede che l’amore che circola tra il Padre e Lui scorra anche in noi e tra noi. Non è acqua di sorgente data da reti con mille canali per irrigare tutto ciò che vive? Se tutto l’amore che appartiene a Dio passa attraverso Gesù, allora scorre anche in noi e chiede solo di donarsi sempre nuovo passando attraverso di noi. Come può la speranza deluderci finché la Sorgente è Sorgente e “non vende la sua acqua”?

A volte guido attraverso la città nelle ore di punta. Ascolto la radio, le notizie sul traffico, c’è qualcuno che dall’alto di un elicottero o da una torre di controllo, racconta lo stato della rete stradale: ingorghi, incidenti, lavori, ecc. Un salmo dice che dal cielo Dio guarda in basso sulla terra. Immagino che ci informi dello stato della rete di circolazione dell’Amore. Non ci desidera come un magnifico circuito di distribuzione per il suo amore inesauribile? Non stupiamoci di vedere quanto danno abbiano causato all’universo le occlusioni dell’amore, gli ingorghi tra religioni, popoli, generazioni, culture, piani o stanze di una stessa abitazione, tra ricchi e poveri, tra uomini e donne.
Quando tracciamo il segno della croce fino all’altezza, profondità, lunghezza e ampiezza del nostro essere, confessiamo agli occhi di tutti che siamo integrati nella rete dell’Amore Trinitario come figli e figlie di Dio. Dio è nostro Padre, essendo Padre di Gesù; il Respiro che rinnova costantemente la loro relazione è il legame invisibile che, con ogni sorta di giunture e articolazioni, tiene insieme tutto nell’Universo.
Da questa festa della Trinità sgorga l’urgenza della vita che trabocca. Se l’Unico Dio propaga la sua vita, se ci introduce nello spirito trinitario per mezzo dello Spirito, allora la nostra vita cristiana non può che essere “diffusiva”, “comunicativa”.
Alcuni invece vedono subito come limitare l’accesso alla Chiesa, ai sacramenti: individuano l’impedimento. Nella logica della vita diffusa e prolungata – in una parola nella logica trinitaria – la domanda diventa piuttosto: per quali vie, insegnate dallo Spirito, possono accedere al cuore coloro che sono lontani? Secondo quali percorsi che non io programmo, ma che lo Spirito mi fa conoscere, coloro che sono sulla soglia, o sotto la soglia, si uniranno alla danza?
Non si tratta di applaudire tutto o chiudere un occhio su tutto, ma di abbracciare un pensiero nuovo, proprio quello che insegna lo Spirito di comunione. Coloro che resisteranno a queste nuove proposte saranno riconosciuti come tali, coloro che accetteranno felicemente di “danzare davanti a Dio” troveranno la gioia, e noi con loro.

La verità ci fa liberi.

NB: per info sull’immagine di copertina clicca qui.

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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