Ripensare

Mariani Valerio, Crocifissione di Cristo, sec. XVII.

Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano
e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galile
a

10 aprile 2022, Domenica delle Palme – Luca 23,1-49

Un giorno, un amico, al quale avevo chiesto se Luca non fosse il suo evangelista preferito, mi rispose con tono secco: “Mai! Luca è troppo dolce! Elimina le scene troppo dure”.
Il racconto della passione di oggi porterebbe acqua al suo mulino: Luca minimizza la violenza; Gesù non porta la corona di spine, non viene fustigato, non dice esplicitamente che i suoi discepoli lo hanno abbandonato. E in più, le scene troppo dure sono mitigate da eventi meravigliosi o salutari: il rinnegamento di Pietro è accompagnato dalla menzione che manterrà la fede e poi rafforzerà i suoi fratelli, l’orecchio mozzato del servo del sommo sacerdote viene subito riparato, uno dei due briganti crocifissi si rivolge a lui e si ritroverà in paradiso, la folla che assiste alla scena della crocifissione, che abbraccia con uno sguardo quella terribile visione, se ne ritorna battendosi il petto.
Abbiamo qui un vangelo edulcorato? E se fosse invece una prospettiva aperta sull’accettazione delle nostre lotte quotidiane, un invito a vedere oltre?
Forse la chiave per comprendere la nostra storia è questa parola di Luca nella scena del Getsemani: “In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra.” (Lc 22,44). Purtroppo, nel testo liturgico la parola “agonia” viene tradotta con “angoscia”.
“Agonia” è una parola di origine greca che significa prima di tutto “lotta” e “combattimento”, e il verbo agonizzare significa prima di tutto combattere, lottare. All’origine della vita, nel mondo, c’è lotta, non angoscia. Lo stesso evento del parto ne è testimonianza.
Quando leggiamo la vita di Gesù, troviamo questa lotta ovunque in tutte le sue forme, dalle lotte interiori riportate nel racconto delle tentazioni, alla dura testimonianza della sua prova, comprese le sue opere di guarigione e i suoi inviti a cambiare stile di vita.

Vivere significa anche lottare costantemente per ri-nascere a noi stessi e aiutare gli altri a ri-nascere a loro stessi. Sembra che non siamo noi a scegliere il tipo di combattimento: ci ritroviamo nel mezzo della lotta più o meno consapevolmente. Un uomo o una donna alle prese con il cancro hanno scelto quella lotta? Una coppia con un figlio malato ha scelto quella lotta? Chi si prende cura di un genitore anziano e malato ha veramente scelto di avere un genitore in quelle condizioni? Potremmo cambiare qualcosa lamentando geni ancestrali difettosi, o genitori che sarebbero responsabili delle tossicodipendenze o del disagio psichico nei loro figli?
A prescindere dalle cause materiali che determinano i loro effetti, rimangono i fatti. Ineludibili.
Soltanto un atteggiamento può risultare utile: la lucidità di riconoscere che chi viene al mondo, ci viene anche per lottare. Nell’ottica evangelica la proposta è di accettare la vita, le sue lotte e trovarvi la forza per ri-nascere a noi stessi e agli altri.
È l’insegnamento che traggo dalla scena del Getsemani. Gesù vede e sente chiaramente il terribile combattimento che si avvicina per Lui fino alle estreme conseguenze. Ma la decisione di “accettare” e incarnare la vita è già stata presa. A quella rimane fedele.
Anche se Luca dice che Gesù prega con tutte le sue forze e che il suo sudore diventa come coaguli di sangue, resta il fatto che quella lotta genera l’accettazione della vita per sé e per gli altri.
È un’accettazione contagiosa: uno dei briganti crocifissi accanto a Gesù rifiuterà improvvisamente di maledire la propria situazione, vedrà oltre e chiederà al Cristo l’apertura sulla vita pacificata: che è eterna. Le folle che lasciano il Golgota, battendosi il petto ora, vorranno combattere quella lotta per una vita nuova?
Accettare o rifiutare la lotta dentro le nostre vite, accettare la lotta: questo è il terribile dono che i cristiani riconoscono di aver avuto.
Fare confusione è pericoloso. La vita non è una battaglia contro l’altro, la vita è un combattimento dentro se stessi per la vita di tutti.

Chi riconosce di avere la vita in sé non sostiene la logica della guerra, ma la lotta dentro se stesso per la vita.

Ripensiamo a quanto è accaduto.

Per info sull’immagine di copertina clicca qui

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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