3 aprile 2022 – V Domenica di Quaresima
Giovanni 8,1-11
Se Gesù è misericordioso verso una donna che ha infranto la Legge di Mosè, allora viola quella stessa Legge? Come può il Cristo disattendere una parte della Legge di Mosè? C’è una contraddizione in tutto questo?
Prima di rispondere al quesito dei Farisei, se fosse giusto lapidare l’adultera, Gesù guarda in basso e scrive nella polvere; forse un’eco di Geremia 17,13: “O speranza di Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato la fonte di acqua viva, il Signore”.
Poi prende in contropiede i farisei, riferendosi ad un altro precetto della Legge: in caso di lapidazione, è il testimone del delitto contro la Torah che ha il diritto di lanciare la prima pietra (Dt 17,7).
Indipendentemente da ciò che Gesù abbia scritto sulla terra e dal perché abbia compiuto quel gesto, il versetto di Geremia offre l’opportunità di riflettere sulle diverse modalità di accostarsi alla Scrittura, in particolare nel contesto della sua dimensione giuridica. I farisei cercano di usare la Scrittura per intrappolare Gesù e condannare la donna, mentre Gesù si riferisce alla Scrittura come fonte di misericordia, che scioglie dalle catene dell’errore.
I primi usano la Scrittura partendo dall’idea che l’essere umano debba essere colto in fallo, e, di conseguenza lo intrappolano e lo condannano. Gesù rivela il senso più forte della Scrittura perchè il suo giudizio è libero e amorevole; è misericordioso, perché non è animato dalla sete di vendetta e non è un giustizialista.
Si noti che l’utilizzo della Scrittura al fine d’intrappolare l’essere umano è lo stesso messo in opera dal tentatore, quello che abbiamo visto tentare Gesù nel deserto poche settimane fa.
Qui si vuol far cadere Gesù proprio a causa del suo atteggiamento misericordioso che scoperchia la verità, non condanna e indica un percorso di libertà.
Quando si osserva questo, diventa più chiara la perversità del rapporto con la Scrittura da parte di chi pretende di asservire le norme religiose al principio del controllo.
Gesù si libera dalla trappola che gli è tesa, senza condannare alcuno, ma richiamando a quella verità che ciascuno in cuor suo conosce, anche scribi e farisei: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”, ovvero la scagli quell’integerrimo testimone e accusatore che, secondo la legge mosaica, ha il diritto di farlo. Non sorprenderebbe che nel caso di quella adultera, i testimoni fossero più d’uno, e che molti fossero implicati nello stesso tipo di condotta che volevano punire. Gesù è, oltre che misericordioso, perfino elegante e delicato nello sciogliere la questione.
Come potrebbe del resto il Cristo, che libera l’uomo da ogni schiavitù, sostenere un uso schiavistico della Legge? Chi esige un’applicazione rigorosa, anche rigida, della Legge, prima di tutto dovrebbe immaginare di applicarla a se stesso e quindi accedere ad una prospettiva meno ristretta; la coscienza di essere in errore comporta sia l’istanza morale del perdono nei confronti dell’altro, sia il desiderio di tenersi lontano dall’errore. Solo dopo si potrà dire di essere stati misericordiosi e di aver amato… e si potrà accendere la speranza di non aver vissuto invano, di non essere solo nomi scritti nella polvere.
L’allontanamento degli accusatori è il segno della loro presa di coscienza. Ciascuno si trova, come la donna che avevano portato davanti a Gesù, in una situazione di errore personale. Ciascuno si è riconosciuto trasgressore sotto il giudizio di Dio e non in grado di servirsene in base ai propri interessi. In termini evangelici nessun uomo si situa nella posizione di poter giudicare un altro uomo, perché ogni accusatore davanti al Cristo si trova nella stessa posizione dell’imputato. Certo, possono esserci diversi livelli di gravità, ma è proprio per questo che giustizia e misericordia progrediscono di pari passo. È una vera “fortuna” che scribi e farisei abbiano avuto la capacità di rispondere alla parola di Gesù allontanandosi, perché forse è l’unico modo per dissolvere la perversa illusione di potersi servire della Parola di Dio per asservire.
Avvicinarsi al mistero della misericordia che restituisce alle vittime delle pratiche di schiavitù la loro dignità e libertà, apre un cammino di pacificazione; se incarniamo una pratica di misericordia allora ognuno potrà raggiungere il posto che gli spetta, e noi attesteremo una comprensione della misericordia che non si oppone alla giustizia.
Veramente “non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono”.
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