Parleranno lingue nuove
Marco 16,15-20 – Domenica 13 maggio 2021 – Ascensione del Signore
All’unanimità, gli studiosi concordano sul fatto che questa parte che conclude il vangelo di Marco non è stata scritta dallo stesso autore.
Non solo il vocabolario e lo stile sono diversi, ma i versetti da 10 a 20 formano un testo conclusivo che si ispira al vangelo di Luca. S’ipotizza che una conclusione sulla paura delle donne e la tomba vuota fosse inaccettabile e quindi ne servisse una migliore.
Riassumiamo l’essenziale: Gesù invita a diffondere nel mondo la buona novella che ha proclamato per tutta la sua vita, confermando che l’accoglienza nella fede di questa buona novella sarà liberatoria, ovvero renderà possibile cacciare il male in tutte le sue forme.
Da parte loro, i discepoli rispondono alla chiamata alla missione e vedono avverarsi la promessa di Gesù.
Qual è la chiave comprendere questa storia? Le scene precedenti insistono sull’incredulità dei discepoli che non credono alle parole di Maria Maddalena, né a quelle dei due discepoli di Emmaus. Sarà necessario che Gesù stesso giunga, si faccia riconosce e li rimproveri per la loro incredulità. Questo, prima di mandarli in missione.
Il Vangelo di Marco, secondo l’ipotesi prima citata si sarebbe interrotto bruscamente al versetto 8 del capitolo 16, lasciando così ai posteri un finale incompiuto o sospeso. I versetti dal 9 al 20 sono postumi.
In quale registro leggere fino al versetto 8? Nel registro simbolico (tomba vuota da un lato e giovane in veste bianca dall’altro) oppure nel registro dell’annuncio (messaggio pasquale e appuntamento in Galilea)?
Il versetto 8, però, ci dice che le donne, prese dalla paura, tacquero. Il che pone un serio problema alla fine di un Vangelo.
Alcuni studiosi ritengono che la menzione della Galilea nelle parole del giovane vestito di bianco ai versetti 16, 5-8, crei un arco narrativo atto a rinviare il lettore all’inizio del vangelo. Si tratterebbe di un invito a ricominciare sempre dall’inizio; il messaggio della risurrezione, con l’appuntamento in Galilea, rimanda all’esordio della missione di Gesù, luogo dal quale costantemente chiama i suoi discepoli a seguirlo. Anche il lettore, perciò, è invitato a rileggere, a ricominciare la lettura del Vangelo più e più volte. Gesù dovrà ancora essere seguito. La menzione della Galilea non solo rimanda alla Parola già pronunciata alla fine dell’Ultima Cena (14,28), ma anche all’inizio del racconto evangelico e alla predicazione in Galilea. Si tratta di un invito a rileggere il vangelo non più e soltanto come la storia di un uomo – Gesù di Nazareth – e dei suoi discepoli, ma come la scoperta del Cristo in quell’uomo, e di una comunità di donne e uomini che non hanno paura di continuare a parlarne, nei suoi discepoli.
Il riferimento alla Galilea segna una tappa importante nella trama del Secondo Vangelo: da un lato, rimanda a un tempo che sfugge alla narrazione (si potrebbe, in questo senso, parlare di un rimando al tempo dell’esistenza personale di chi legge ); dall’altro costringe a ritornare all’inizio del racconto, ad ascoltare il Gesù terreno per cogliere la Sua dimensione reale e la nostra dimensione in relazione alla Sua.
Può darsi che il finale così concepito sia il mezzo essenziale per evidenziare con incisività che la fine è in realtà l’inizio di una nuova vita.
Come viene restituito il destinatario della buona novella al mondo reale alla fine di questa narrazione?
Il mandato missionario è una realtà, ma è pur vero che ci sentiamo a disagio quando Marco, sembra ignorare il principio logico secondo cui una fine è tale proprio perché non c’è nulla che segue. Ci troviamo di fronte ad un bivio decisivo: o la scorciatoia, la fuga – silenziosa o rumorosa che sia -, o la scelta di proclamare la buona notizia con tutto ciò che ne consegue.
In Marco, il lettore non ha accesso alcuno al commento del narratore; in secondo luogo, nessuna parola del Risorto chiarisce le condizioni dell’esistenza post-pasquale. Il lettore, nonostante tutta la formazione ricevuta attraverso continui rinvii intratestuali e perfino attraverso l’uso dell’ironia, può sentirsi vittima di una trappola. Spetta quindi a chi legge sentirsi chiamato in questione dalla lettura, avere il coraggio ideale di entrare in rapporto personale con ciò che è scritto e solo dopo forse, trovare il coraggio per la scelta. Scelta che è di esserci, affinché il mondo della storia non crolli con l’ultimo versetto (16,8).
Il brusco passaggio dal mondo della storia al proprio mondo reale costringe il lettore a impegnarsi in tre direzioni: la prima, a monte della propria esperienza, consiste nel tornare al testo, al fine di contrastare gli effetti devastanti della banalizzazione, dell’ironia e del sarcasmo che il mondo non lesina nei confronti delle religioni; la seconda punta alla ricerca del coinvolgimento personale in una comunità interpretativa al fine di stabilire una relazione di confronto e di ricerca con altri; la terza, scoprendo e non negando il potenziale destabilizzante del Secondo Vangelo, accettare la messa in questione dell’immagine di sé, in pubblico, in mezzo alla comunità.
Questa prospettiva soltanto può togliere l’ambiguità tra politica e spiritualità, restituendo a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio; non esiste un partito di Dio, non esiste una teocrazia, che non sia anche dittatura.
Tra la rilettura del passato e l’apertura al futuro, il lettore è incoraggiato a ristrutturare ogni giorno la propria esistenza non solo per restare umano, ma per poter aspirare a dirsi cristiano.
C’è un necessario ricorso – dato l’impatto della comunicazione indiretta – alla comunità interpretativa, che risulta poi essere anche la storica destinataria del Vangelo: a partire da luogo in cui “due o tre sono riuniti nel Suo Nome”. Questa comunità storica, che si trasforma continuamente nel tempo, riesce a comunicare soltanto ciò in cui crede autenticamente. È lo shock di un finale che era rimasto sospeso e che ora riporta il lettore al mondo reale, in modo abbastanza brutale: le donne hanno parlato.
Marco conduce il lettore verso un approdo rischioso e impegnativo, lo prende di mira e quel lettore, oggi, siamo tutti noi.
E i versetti postumi del Vangelo di oggi sono forse l’unica risposta possibile dei discepoli.
Dopo aver ripercorso il vangelo dall’inizio potranno respingere il male nelle sue forme più perniciose (demoni), uscendo dalla prigione del proprio ristretto modo di vedere (parleranno e comprenderanno lingue nuove) e avranno la garanzia che eventi dannosi visti come catastrofi (serpenti e veleni mortali) non li distruggeranno. Chi crede sinceramente inoltre ha un’influenza benefica sul prossimo, perché agisce per aiutarlo a stare meglio (i malati guariranno).
Questo processo, questo cammino, trasforma l’assenza del Gesù storico, del “crocifisso”, in una nuova presenza, alla quale diamo il nome di “Dio” e della cui realtà siamo certi. Allora si capisce perché con tanta enfasi si può annunciare (ripetutamente, a se stessi prima e agli altri dopo – cioè agli Uni e agli Altri) che “Cristo è veramente risorto e mi/ci precede in Galilea”.
Siamo pronti per quest’avventura?
Mi chiedo – non senza timore – se si tratti semplicemente della Sua Ascensione… o se per sbaglio non debba essere anche la mia e in generale la nostra, un nuovo percorso, dalla fine ad un nuovo inizio.
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Jesus nos abre un nuevo camino, esta con nosotros. La Pascua, un gran paso a la vida, nosotros vamos dando pasos…Cristo quiere contar con nosotros, para anunciarlo…
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