Molte cose ho ancora da dirvi,
ma per il momento non siete ancora capaci di portarne il peso
Giovanni 15,26-27; 16,12-15 – Domenica, 23 maggio 2021, Domenica di Pentecoste.
Leggendo il Vangelo di Giovanni per questa Festa della Pentecoste, mi soffermo in particolare sui versetti 12 e 13 del capitolo 16.
Gesù afferma di avere molto altro da dire, ma questo altro non può essere detto perché i discepoli non hanno ancora la capacità di sopportarlo; verrà il momento opportuno nel quale udranno e capiranno.
Il discorso è articolato su due piani, che chiamerei l’uno narrativo e l’altro profetico:
Sul piano narrativo viene presentato quel particolare momento, in cui Gesù disse quelle parole ai suoi discepoli; sul piano profetico l’evangelista sta dicendo alla comunità cristiana, quali saranno gli effetti dello Spirito di verità nella chiesa nascente.
Durante il suo ministero terreno, Gesù non disse tutto “il suo”, ma il suo insegnamento sarebbe stato continuato in futuro dallo Spirito di verità. Questa trasmissione attraverso lo Spirito avrebbe permesso ai credenti di ogni tempo la comprensione e l’attualizzazione del messaggio cristiano.
Il discorso, rivolto dunque a noi anche oggi, ci avverte che la discesa dello Spirito – celebrata a Pentecoste – è un evento che ci riguarda molto da vicino e personalmente.
In effetti basterebbe pensare alle questioni pratiche e ai nuovi dilemmi etici che sorgono al giorno d’oggi; come rapportarsi a tali novità con lo stesso spirito con il quale Gesù vi si sarebbe rapportato? In altri termini, Lui cosa ne direbbe? Nello Spirito che annuncia le cose a venire, possiamo senz’altro leggere un riferimento concreto alla vita del Cristo – la morte, la risurrezione, l’ascensione – ma anche il riferimento alla vita concreta delle persone e alla comprensione del messaggio evangelico nel nostro presente.
Questo fu subito vero già per gli apostoli: “E si ricordarono delle sue parole….” (Gv 2,17; 2,22; 12,16; Lc 24,8).
Solo “dopo” ci si accorge del senso di quegli insegnamenti, prima magari letti o ascoltati tante volte nebulosamente, come inscritti dentro un orizzonte limitato dalla propria prospettiva mentale. L’orizzonte del Vangelo sembra col tempo allargarsi nel confronto concreto con la vita quotidiana e diventare più ampio di qualsiasi prospettiva il singolo o l’istituzione possano avere già avuto.
Oggi, come potremmo avere una parola “cristiana” su temi nuovi di cui non si parla nei vangeli? C’è uno Spirito di verità, che non è solo un concetto teologico, ma una realtà già percepita e presente in tanta parte della comunità cristiana e non-cristiana. C’è chi sente la necessità e – vorrei dire – l’obbligo morale di ascoltare i segni dei tempi per continuare a costruire un mondo migliore per sé, per i propri figli, per gli altri. E non solo tra i cristiani.
La questione però si fa molto complicata se la stessa comunità cristiana o una parte di essa utilizza i segni dei tempi per difendere strenuamente posizioni statiche ed inattuali. Anche quando queste posizioni fossero autenticamente fondate, la loro inattualità e rigidezza le renderebbe un insegnamento vano; spesso coloro che le sostengono non si accorgono di confondere lo spirito di verità con la spinta verso l’esercizio dell’autorità.
La Pentecoste è per me una sfida ad accogliere e sostenere tutta la verità che irrompe, come forza ispiratrice, proprio nelle situazioni in cui ho… il fiato troppo corto: c’è una realtà, fin troppo spesso in stridente contrasto col messaggio evangelico, ma non sarà arroccandomi – o “riposizionandomi” – dietro un muro di giudizi per me “veri”, che potrò uscire per andare incontro al prossimo!
Con la Pentecoste celebriamo anche la possibilità tutta umana di parlare e agire con giustizia e saggezza; per farlo occorre abbandonare egoismi e risentimenti, superare paure e imparare a immedesimarsi negli altri, sapendo che leggi e norme servono laddove gli uomini non hanno ancora imparato ad amare e quindi non sanno essere giusti senza il timore della punizione.
Qualche esempio?
Per esempio: in Italia abbiamo già una Costituzione che garantisce il rispetto del diritto a non essere discriminati per ragioni di confessione religiosa, provenienza geografica, orientamento sessuale, ma occorre ancora scrivere e approvare leggi sulle quali si discute molto solo per riaffermare diritti, già affermati dai padri costituenti: abbiamo il fiato corto.
Per esempio: il conflitto israelo-palestinese dura da decenni. Come mai si fatica tanto a riconoscere il diritto di ogni popolo ad avere una propria identità e una propria collocazione geografica? Non è ancora chiaro che il diritto ad avere un territorio vale per tutti i popoli? Eppure, questo diritto viene sbandierato da più parti, ma negato, guarda caso, proprio da chi ha maggiormente sperimentato la tremenda sofferenza dell’esule; il popolo di Dio ha il fiato corto, non riesce a includere le minoranze nella propria umanità.
Per esempio: si celebra il quinto compleanno dell’Amoris Laetitia, ma a parte i passi in avanti della discussione in sé sui divorziati che desiderano sposarsi in chiesa, non ci sono stati cambiamenti significativi. Abbiamo il fiato corto.
Per esempio: è chiaro che un’unione tra partner delle stesso sesso non è uguale a un’unione tra partner di sesso diverso, e penso che tutti lo vedono; ma negare la benedizione a una coppia omosessuale – che la chiede – non ha per me alcun senso.
Posso appellarmi all’amore cristiano e non benedire qualcuno?
Se l’amore cristiano si contraddistingue perché è aperto alla vita, posso anche essere sicuro che la vita coincide unicamente con la possibilità di procreare?
Tante coppie cristiane decidono di convivere e hanno figli fuori del matrimonio religioso; altre ancora non vogliono avere figli; o si accetta di accompagnare e benedire tutti – omosessuali, eterosessuali, conviventi, sposati civilmente, sposati in chiesa e single incalliti – o rischiamo di volere con arroganza una chiesa di perfetti, arroccata e tutt’altro che in uscita.
Chi può permettersi di negare una benedizione e poi sinceramente “accompagnare verso la conversione”? Tra l’altro proprio chi deve “vedere” meglio e convertirsi (ammesso che l’accompagnatore benedicente non abbia la stessa necessità di “vedere” meglio) ha bisogno di molte benedizioni!
Può una conversione scaturire da una negata benedizione? Le vie del Signore sono certamente infinite, ma noi abbiamo il fiato corto; c’è anche scritto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo!” (Mt 4,7; Lc 4,12).
Poi: l’ultimo esempio e per oggi mi taccio. Come mai tanti religiosi non sentono la necessità di fare un po’ di outing? Si badi, non sto escogitando un richiamo populista al “mal comune mezzo gaudio”, cui appellarsi nel riconoscersi peccatori tra i peccatori, ma sto enunciando un convincimento: i chierici non sono diversi dagli altri, non sono migliori; siamo spesso molto lontani da quell’amatevi gli uni gli altri di due domeniche fa. E poi, un po’ di outing non sarebbe più conforme allo Spirito di verità? O non siamo capaci di portare il peso di qualche scomoda verità?
Vieni Santo Spirito, vieni respiro di Dio…