La pienezza del tempo

Dove sono dunque le vostre manifestazioni di gioia?

1° gennaio 2023 – Maria Santissima Madre di Dio
Lc 2,16-21; Gal 4,4-7

La “pienezza del tempo”, secondo l’espressione di Galati 4,4, si realizza con l’invio del Figlio. I pastori vivono la pienezza del tempo tornando, lodando, glorificando il Signore.

Le letture di oggi ripropongono a chiare lettere la gioia del Natale. Mi chiedo allora: il mantice delle nostre attese che ha dato aria alla fede è ancora in movimento? Se il suo movimento era stato generato dall’aspettativa di luci, banchetti, feste e doni, il mantice potrebbe fermarsi, per stanchezza, per esaurimento d’aria, per asfissia o per assuefazione. Se manca il soffio, manca lo spirito. Era di questo tipo la gioia?
Spesso i bambini, una volta ricevuti i loro doni, dopo un picco di eccitazione, ricadono in una sorta di indifferenza a quella novità, che pure li aveva resi felici poco prima.
Capita anche agli adulti, non solo perché dopo un buon pasto di Capodanno o di Natale si ripiomba nella routine quotidiana, ma forse anche perché la forza dell’attesa si affievolisce o si spegne del tutto. Non abbiamo altra attesa?
Io credo che molti leggano il vangelo come una favola per bambini: questo è il problema.
Provate ad immedesimarvi in quei pastori che vanno a vedere il bambino, credendo fermamente in ciò che ha detto loro l’angelo del Signore; come pensate che Luca potesse raccontare la forza dello spirito che muove a quegli uomini di 2020 anni fa? Con un trattato di filosofia?
Solo la certezza della fede permette ai pastori di “tornarsene”, lodando e glorificando il Signore.
C’è un livello della nostra umanità in cui tutti siamo come quei pastori, ma non tutti accogliamo la forza dello spirito – l’annuncio dell’angelo – come una notizia certa e concreta; per chi si accontenta della favola, la pienezza del tempo non è ancora giunta, non si sente, non si vede.

Ma… chi può dire che non è triste sentire la gioia del Natale declinare e morire?
Chi può dire che non è terribile sentire il fervore svanire? Chi può dire di rallegrarsi quando ricomincia la routine con il suo ritmo soffocante? Oppure quando si chiude la parentesi di speranza aperta dal Natale sulle sventure della nostra vita, come ad esempio la malattia?
Chi di noi può dire che la gioia cristiana è duratura più di un fuoco di paglia?
E chi la vive, come può farsi guidare dalla gioia in questo nuovo anno?

A qualche livello, dicevo, siamo tutti simili ai pastori, solo che quelli di cui parla Luca non hanno mai pensato che la nascita del Bambino fosse una favola alla quale, da adulti, sarebbe stato conveniente accondiscendere e che avrebbero dovuto raccontare ai loro figli.
Per quei pastori fu un’esperienza vitale, accolta e narrata con gioia e stupore così grandi da produrre turbamento. Non hanno edulcorato, spiritualizzato e mitizzato; sono tornati trasformati alla loro vita di tutti i giorni trasformati da quell’esperienza, potremmo dire contenti di continuare a fare i pastori. Per loro è una questione di fede. Non vanno a Betlemme per verificare se ciò che l’angelo ha detto è vero, vanno con il solo desiderio di vedere il bambino, una profezia avverata; vanno a Betlemme a vedere cosa succede. È successo: il Signore ha fatto loro conoscere la verità, non dubitano, non sospettano, semplicemente il Signore ha promesso e mantenuto.
Se i pastori sono arrivati alla mangiatoia dove si trovava Gesù con i suoi genitori, non è stato attraverso una manipolazione pubblicitaria, ma sulla base di una promessa che credevano si fosse adempiuta. Da qui in poi non sentiremo più parlare dei pastori.

Come si fa a vivere la fiducia dei pastori di Luca?
Proviamo ad osservare il comportamento di Maria: “Maria custodiva il ricordo di tutto questo e lo meditava nel suo cuore”. È così che Luca parla della madre di Gesù.
Maria ha conservato la memoria di tutti questi eventi, il mantice della sua speranza non si è mai fermato, la gioia di essere la madre del Signore per lei non ha mai avuto termine, nonostante il dolore patito. A differenza dei pastori, non dice nulla, eppure non si limita a tacere: medita e custodisce il segreto dello Spirito che è venuto a lei: del dono ricevuto fa cibo del suo vivere. Non cerca di tenere tutto a mente per capire meglio, considera tutto ciò che vive come segno e conferma dell’amore dell’Altissimo, per lei e per tutta l’umanità. Custodisce il tesoro, non parla in fretta, gli eventi vissuti diventano per lei motivo di preghiera e diventa capace di seguire suo figlio per tutta la vita fino alla fine. A questa fede siamo tutti chiamati, ad essere fiduciosi come i pastori e fedeli come Maria; la fede persevera e preserva la gioia della pienezza, la gioia della nascita.
Paolo, nella seconda lettura, mette in luce un paradosso, quello del figlio e dello schiavo.
Il bambino appena nato ha tutto, ma non può fare nulla con questo tutto; è la stessa condizione dei “figli di Dio” ed “eredi delle cose celesti”, cioè di ciascuno di noi. Chi ha la fiducia dei pastori, chi custodisce il ricordo della profezia e del dono della vita come Maria, ha lo stesso potere del bambino. Ha tutto, ma ha bisogno di tutti.
Paolo paragona la posizione e i diritti di un bambino appena nato a quelli di un servo, un’immagine scelta per far comprendere che il bambino piccolo vive sotto la Legge e la tutela, mentre l’adulto e il figlio vivono – o dovrebbero vivere – nella libertà e nella responsabilità, cioè da adulti in Cristo.

Chi si rifiuta di crescere, non vede un segno in quel bambino nella mangiatoia, allora dovrà accontentarsi di regole esterne, come un marinaio che, non avendo una bussola interna, è costretto ad orientarsi con un navigatore, schiavo di un dispositivo esterno. Come quello che montano le automobili o i nostri cellulari.
Il dramma del nostro tempo storico consiste nel non saper più leggere con perspicacia, amore e autonomia le mappe della vita, distinguere il sud dal nord, l’est dall’ovest e le pecore dai buoi; la Bibbia non traccia più la rotta, la parola non spiega, il nome non designa. Se da una parte è vero che dalla Legge non è caduto neanche uno yod, dall’altra la crescita di quel bambino, segno per la nostra fede, porta a scoprire un nuovo sentiero su cui senso di vuoto e perdita si dileguano, per fare largo ad altre esperienze di gioia e bellezza.
Potrei dire che impariamo a conoscere l’attesa di Dio, che scopriamo di avere la legge dell’amore scolpita nel cuore, e anche che è solo la struttura di peccato a seppellire quella verità; potrei invocare la necessità di pentirsi, di spianare la via, ma non è questo che m’interessa dire ora. Piuttosto lascio che il soffio dello spirito tolga la polvere che ricopre quella scritta, tengo pulito il cuore e mi rammento che lì fuori, in questo momento, c’è qualcuno che aspetta proprio me, per incontrarmi. Poi scoprirò il perché, non lo so mai prima. Potrei scrivere un lungo elenco di uomini e donne, parenti, amici e perfetti sconosciuti, vivi e defunti, attraverso i quali il Signore ha voluto incontrarmi. Si tratta della pienezza del tempo? Come i pastori di Luca, posso solo riferire stupito, lodare e glorificare? Certo ho imparato da Maria, la madre del Nazareno – l’unica che ha capito prima e per tutti che è necessario solo ricordare – a meditare e a custodire la Parola, perché l’intima legge d’amore, che alberga in noi, sia sempre illuminata e vivificata dal soffio dello spirito e dall’incontro con il figlio dell’uomo.
Auguro a tutti, per questo nuovo anno, di conservare e custodire ogni benedizione avuta da Dio, a partire dai vostri figli e donandoci Suo Figlio per accompagnarci durante tutto il viaggio della nostra vita. La novità è per tutti, richiede pazienza, semplicità e capacità di stupirsi, non ultimo una certa innocenza di fondo…

E che gioia sia per tutti!

NB: per info sull’immagine di copertina clicca qui

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

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