Non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo
23 ottobre 2022 – XXX Domenica del Tempo ordinario
Luca 18,9-14
Ognuno di noi ha bisogno di rassicurazioni.
Riguardo a cosa?
Riguardo al proprio valore, riguardo alla propria capacità di farsi capire, accettare, amare.
Alla fine, alcuni potrebbero addirittura arrivare a chiedersi (insensatamente) se meritano di vivere.
Ma noi siamo sicuramente lontani da queste domande… sicuramente!
In realtà, la questione di rado è posta in modo così diretto; rimane tuttavia sullo sfondo delle nostre coscienze.
Per evitarla, si può vivere alla superficie di se stessi, alla ricerca dello svago, del passatempo, del divertimento o, al contrario, soffocandosi costantemente di impegni di ogni genere, quasi per sentirsi giustificati: “coscienza oscurata per mancanza di tempo”.
Se parliamo di “divertirsi”, mi chiedo: divertirsi con cosa? Da quale perplessa profondità? Se parliamo di impegni e di lavoro: per chi? A quale scopo? Per il sostentamento di se stessi e della famiglia: giusto! Ma è sempre solo questo?
Tutto può servire da alibi, da rifugio, per evitare la domanda fondamentale che in questo preciso momento della storia non riguarda più tanto il bisogno di sicurezza emotiva, ma la responsabilità morale individuale di chi trae profitto dal persistere delle guerre fratricide (devono essere relativamente pochi), di chi è costretto a sostenere indirettamente conflitti e speculazioni, dovendo sottostare alla crescita esponenziale di beni di prima necessità (sono molti, praticamente tutti).
Si badi che sto lasciando da parte altre responsabilità, che comunque non possono passare sotto silenzio: il continuo svuotamento delle risorse del pianeta, il velenoso inquinamento dell’ecosistema in cui cresce la vita e l’ulteriore impoverimento dei ceti sociali più deboli in ogni parte del mondo.
Allora la ricerca del denaro, le imprese varie – come dice il salmo 48, che merita di essere letto tutto tanto è attuale – il desiderio di dare il nostro nome a una terra, a una fondazione, anche ad una strada assumono un altro senso, quello del “mettersi alla prova” che non finisce mai per sentirsi a posto.
La fede cristiana invece è un invito continuo a lasciare la preoccupazione per se stessi e passare alla preoccupazione per gli altri, alla “cura”: qui risiede la nostra verità di uomini fatti a immagine di Dio. A condizione, naturalmente, che la preoccupazione per noi stessi non permanga e giunga ad avvelenare il modo in cui pretendiamo di prenderci cura degli altri.
Diventiamo veramente liberi solo quando riusciamo a vincere la paura di non “bastare”, la paura della nostra insufficienza umana e morale; altrimenti, lo sforzo intrapreso per controllare la situazione può raddoppiare la fatica e questa è la trappola della virtù … della prova che esigiamo da noi stessi.
Da questa prospettiva rileggo la parabola del fariseo e del pubblicano.
Il primo si rassicura elencando i propri meriti: non ladro, non ingiusto, non adultero, neppure pubblicano, in ogni caso migliore degli altri. Ringrazia.
Tralasciamo il fatto che potrebbe anche elencare ciò che omette di fare in termini di dono, giustizia, fedeltà e sostegno al prossimo… mi si direbbe che sono sospettoso e pedante …
Ad ogni modo, nella logica della parabola, non c’è motivo alcuno di sospettare della purezza delle sue affermazioni: il fariseo rende grazie a Dio e in questo ha ragione, la gratitudine è il culmine di ogni preghiera, di ogni parola rivolta a Dio…
Il problema è che ringrazia non per quello che riceve, ma per quello che fa, come se ne fosse la fonte: digiuna due volte a settimana e paga le decime. Tanto gli basta per prendere letteralmente il posto di Dio nel positivo giudizio verso se stesso: si considera diverso dagli altri, cioè superiore. Ce n’è, è vero, già abbastanza per sentirsi rassicurati per conto proprio se uno paga le tasse, ma qui è posta la questione principale che fa crollare tutto l’edificio: quell’uomo in realtà basta a se stesso, ha ragione, non ha più bisogno di Dio, è autosufficiente. E dunque, non ha bisogno alcuno di giustificazione, e, per giunta, lo ignora. Perché continua a recarsi al tempio? Solo per paragonarsi agli altri e confermarsi nella propria superiorità?
Sì, si paragona agli altri e preferisce se stesso; gli altri, al limite, possono solo meritare un altro pacchetto di sanzioni…
Il pubblicano, peccatore per definizione, si suppone viva dei soldi sottratti durante il suo lavoro di esattore delle tasse; come non c’è motivo di dubitare della veridicità dei complimenti del fariseo a se stesso, possiamo prendere sul serio l’accusa che il pubblicano si muove: «Io sono un peccatore».
Quindi, peccatore consapevole, non trova sicurezza in se stesso e nel proprio comportamento, infatti non osa neanche alzare gli occhi al cielo.
È bellissimo questo atto non detto, quasi invisibile, inosservabile dall’esterno. È qui che nasce forse il “timore” di Dio: una percezione della propria assoluta fragilità di fronte ad un mistero dichiaratamente immenso e la conseguente imprescindibile invocazione: “Abbi pietà di me peccatore!”.
Nell’immagine di questo pubblicano Gesù si fa prossimo al peccatore, si fa Parola incarnata per tutti, si fa Porta di un cammino di salvezza sempre possibile; la misericordia di Dio è “discesa verso di noi”, secondo le parole di san Giovanni Crisostomo; c’è più del perdono qui, ci sono le nozze, c’è la promessa di un cammino insieme e la fedeltà di Dio a noi, anteriore e più grande della nostra a Lui. C’è di che farsi tremare le gambe, per la vertigine che una simile accecante intuizione può causare, soprattutto se accompagnata dalla concreta percezione della nostra fragile umanità.
Dove c’è un pubblicano consapevole della sua miseria, lì ci sarà anche il Cristo con la Sua verità: “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
Cosa possiamo trarre per l’oggi dalla “lezione di vita” contenuta in questa parabola?
Il respiro che la anima mi sembra essenziale: dice della possibilità di abbandonare una pratica religiosa autocompiacente e autoreferenziale, che la rende ipocrita e malevola, per varcare la soglia della fede.
Si tratta di percepire la reale presenza di un Dio al quale abbiamo sempre resistito, in nome di una nostra personale autosufficienza immaginaria, magari nascosta dietro ogni sorta di meravigliose prospettive sull’intelligenza, sulla creatività, sull’accesso a conoscenze superiori, ormai alienatesi da ogni senso del limite e della realtà, mentre malattia, morte e guerre vengono derubricate a “danni collaterali” e svanisce in un alone di follia il senso dell’umano limite.
Solo il netto rifiuto di simile barbarie porterà con sé una società liberata dal moderno ritualismo ossessivo delle cancellerie, dei governi, delle multinazionali; dall’ossessione del doversi sentire dalla parte del più ricco, del migliore o del più giusto, rendendosi al contempo inevitabilmente complice degli orrori generati dalla ferocia di uomini e istituzioni… che non temono colpa, né morte…
Dove sta l’uscita da quest’inferno in cui ci siamo cacciati?
E pensare che oggi è pure la giornata missionaria mondiale… il terreno frana sotto i piedi… e io mi sento come un birillo su uno sciame sismico.
Mi servono una “teologia” – ma pure “un’antropologia” – nuove, che aiutino a ritrovare “la potenza della creazione di cui il testo antico è traccia, il sorgere di un pensiero capace di creare lo spazio che viene, perché lo spazio del Vangelo sorge quando questa Parola si fa viva, quando essa arriva a interpretare il momento in cui parla e non attraverso riferimenti a un passato, per quanto venerato, ma attraverso un’anticipazione eroica, dove la memoria dell’ascolto si trasmuta interamente in potenza di generare il nuovo”. (Cfr testo già citato la settimana scorsa di Maurice Bellet, Il Messia crocifisso). Solo il Cristo “libera il popolo dall’illusione del popolo, che è quella di voler dominare, di godere del potere divenendo schiavo di coloro che lo detengono”.
Cari confratelli, cari amici, parenti, fratelli e sorelle, e cari tutti coloro che non amo abbastanza o non amo affatto: “Che ne è del Messia crocifisso?”
NB: per l’origine dell’immagine di copertina clicca qui.
Sin palabras…
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