Essere insieme

Gustav Klimt, Il bacio

Marco 10,2-16 – Domenica, 3 ottobre 2021,
Ventisettesima Domenica del Tempo Ordinario

Visto che i preti parlano di matrimonio da secoli senza averne esperienza diretta, oggi lo farò anch’io …
Alcuni farisei si avvicinano a Gesù per metterlo alla prova; mi sembrano uomini che chiedono di potersi sbarazzare delle loro mogli e probabilmente sono gli stessi che porteranno a Gesù una donna colta in flagrante adulterio (Gv 8,3-11), dicendo che Mosè aveva loro ordinato di lapidare donne di siffatto genere… Già, ma in quel flagrante reato sfugge il “complice” maschile, perchè sembra sempre che i maschi, in questo genere di cose, non abbiano alcuna responsabilità. Finalmente un uomo – Gesù – si mette a terra – sullo stesso piano? – con la condannata, e … corre insieme a lei il rischio di essere lapidato. È il Cristo che si fa peccato non perché sia peccatore, ma perchè entra nei panni dell’uomo da tutt’altra prospettiva.

Nel vangelo di oggi Gesù dice ai farisei che Mosè aveva emanato quella regola a causa della durezza del loro cuore. Quindi, si rivolge ai cuori di pietra dei farisei di tutti i tempi, che in genere sono sempre pronti a tendere trappole. Costoro affermano pretenziosamente di conoscere il bene e il male, il conveniente e lo sconveniente, ciò che offende Dio e ciò che lo lusinga; a questi maschi-maestri-ciechi, Gesù fa capire che sono un po’ confusi, cioè confondono loro stessi con Dio e interdicono e ordinano in Suo nome. Gesù li espone così al cospetto del Signore, sottraendo loro lo scudo di qualsiasi norma, che esuli dalla legge dell’amore. Ricorda infatti che, all’inizio, uomo e donna furono creati diversi, perché divenissero una sola carne e ciò che Dio unisce, l’uomo non può separarlo; l’uomo e la donna non hanno alcun potere generante, originario, fondante sia nel creare, sia nell’unire, sia nel separare. In effetti, chi può affermare di conoscere e di poter decidere in senso assoluto ciò che è unito nella carne? Questo mistero è grande: chi può sapere quando due esseri formano una sola carne? Chi potrebbe dire che questi esseri lì sono uno? Quando e in quale momento della loro storia? Tra chi si realizzerà questa unione e fino a quando? È unito ciò che Dio riunisce, e non ciò che gli uomini o un’istituzione sanciscono. 

Credo che la comunione nella carne richieda partner situati nell’attitudine a dare, non a dominare; partner disposti a servire la vita dell’altro e non ad utilizzarla. 
Le coppie che fanno una sola carne, in questa comunione nella salute e nella malattia, si liberano dalla passione individuale, per situarsi nel “voler amare”, nel voler dedicare la propria vita a questo, nel desiderio della felicità e del bene dell’altro: argomento complesso, che non inneggia senz’altro alla rinuncia del rispetto o della cura per se stessi, ma svuota di valore qualsiasi sentimento “coniugale” che non sia orientato al bene dell’altro. Se sono “coniugato” veramente, sono anche unito in una sola carne. In ipotesi, perfino nella sofferenza dell’altro che se ne va.

Ad aiutarci nella riflessione viene anche la prima lettura tratta dal Genesi, alla quale Gesù rimanda e che offre indicazioni da non travisare come fossero l’enunciazione di una teoria sul rapporto maschio-femmina; non si possono scaricare sul testo le domande del femminismo e del dibattito transgender del XXI secolo. Siamo davanti ad una poetica della relazione e non davanti ad un codice giuridico ancora in assenza di un’etica adeguata e condivisa.
Il lirismo di Genesi dà spunti di riflessione, se non altro per il nome dato all’uomo e alla donna. Adamo viene dalla terra, dal simbolo del femminile per eccellenza; Eva viene dalla carne già animata di Adamo, creata simile e in funzione di aiuto. In altri termini, Eva senza Adamo sarebbe inconcepibile, ma è vero anche il contrario, Adamo senza Eva sarebbe altrettanto inconcepibile. Il racconto di Genesi è strutturato per sottolineare l’intento unitario originario, che non è sottoposto a qualche variazione decisionale nel tempo storico. La divisione tra uomo e donna, in Genesi 3,12 e 3,16, è data come frutto dell’errore. “In principio”, dice Gesù, cioè nel proposito di Dio, le differenze sono destinate ad essere unite, non ad essere separate.

Ma cosa succede se si continua a leggere il testo? Dopo il peccato originale, inizia una catena di conseguenze: scoperto l’errore, Adamo incolpa Eva, e in certo senso anche Dio che gliel’ha messa accanto, scaricando così la propria responsabilità sulla donna; Eva ammette di essersi fatta ingannare e scarica la colpa sul serpente. Il pasticcio è fatto. In tutto il racconto non sfugge però che i termini usati per indicare il dominio dell’uomo sulla donna in Genesi 3,16 somiglia molto al dominio sugli animali concesso all’uomo in 1,26, e che, allo stesso tempo, facendo uscire la donna dalla costola dell’uomo, l’autore biblico introduce un’immagine opposta a quella della nascita ordinaria di ciascuno di noi dal grembo femminile.
Vendetta patriarcale? Invidia dell’uomo, che non può fisicamente partorire? Come qualcuno ha sostenuto?
Rimane comunque curioso il destino biblico di Adamo ed Eva; potremmo perfino sostenere che la condanna ricevuta da Eva sia meno tremenda di quella inflitta a Adamo. Come confrontare l’insidia al calcagno, i dolori del parto, la perenne preoccupazione intorno all’uomo, con la difficoltà continua nel procacciarsi di che vivere, la fatica del lavoro e soprattutto la fine ingloriosa? Del maschio si dice che è “polvere” e che “in polvere ritornerà”. (3,19).
Se di vendetta patriarcale si tratta, Adamo è messo molto male, perchè di Eva si dice “vivente” e di “Adamo”, polvere prima e polvere dopo.

Il testo di Genesi 2 presenta l’unità dell’uomo e della donna come una conquista: “Diventeranno una sola carne”. L’unità è dunque data come un “possibile”, un “fare”, ed è l’uomo che deve “muoversi”, è l’uomo che deve lasciare suo padre e sua madre (Gn 2,24) in un affrancamento continuo dalla sua natura di figlio piccolo; la donna esce dall’uomo e tuttavia è l’uomo che deve partire, lasciare le sue radici, per raggiungerla.
Gesù cita questo testo e tutto va nella direzione non della divisione, ma dell’unità.
I farisei – loro – introducono una doppia divisione: prima la rottura del “ripudio”, ma anche una rottura più sottile: lo statuto esistenziale dell’uomo e quello della donna sono considerati talmente diversi, che i farisei contemplano la possibilità del ripudio solo da parte dell’uomo.
Cristo – finalmente un Uomo – ripristina l’uguaglianza, parlando anche del ripudio dell’uomo da parte della donna, ma non rimane sul piano giuridico dei farisei. Queste rotture sono il risultato della “durezza di cuore”, cioè del peccato. Gesù parla di conflitto solo per proiettare l’immagine dell’unità da conquistare. È questa unità che ritengo essere la proposta del Cristo.

Quello che uomini e donne devono attraversare è tipico dell’intera avventura umana: ogni qual volta troviamo divisione, la soluzione sta nel camminare verso un’unità possibile, una grossa scommessa, ma non riusciremo mai a superare le nostre divisioni e la nostra violenza (tra stati, classi, popoli, culture e religioni) se prima non avremo superato la prima tra le divisioni: quella tra uomo e donna. Questa unità non è né fusione, né livellamento, ma articolazione delle differenze, come in un corpo vivente.
È essere insieme. 

NB: Immagine di copertina, fonte

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

2 pensieri riguardo “Essere insieme

  1. La conclusione della tua riflessione è molto importante. Mi stupisce come spesso l’origine “culturale” di un pensiero simile venga travisata. Non è solo una questione per credenti, ma un punto d’incontro delle intelligenze. Dovrebbe essere il punto di partenza di un discorso comune.

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