Se in qualche luogo
non vi accogliessero
e non vi ascoltassero,
andatevene
e scuotete la polvere sotto i vostri piedi
come testimonianza per loro
Marco 6,7-13 – Domenica, 11 luglio 2021,
Quindicesima Domenica del Tempo Ordinario
Il testo di oggi appare, con alcune variazioni, in tre vangeli su quattro. Gesù manda i suoi discepoli in missione e dà loro autorità sugli spiriti impuri. Ci si potrebbe chiedere come sia possibile se lo Spirito Santo non è ancora sceso su di loro. Ora, però, questi uomini esercitano un’autorità sugli spiriti impuri… Evidentemente non è la loro, ma quella della Parola. Da lì viene questa forza; una forza che sradica progressivamente l’abitudine tutta umana di raccontarsi delle mezze verità o anche delle frottole intere…, una forza che stabilisce un altro ordine: l’ordine della verità.
Isaia l’aveva detto: “Così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.” (55,11).
La forza del Vangelo è potenza di liberazione, e, spesso, liberazione proprio dallo spirito di contestazione, strumentale al proprio tornaconto, che si oppone sempre alla Parola in sé, mentre questa non può essere né diminuita, né aumentata perché non ci appartiene, non ne siamo i proprietari.
C’è dell’altro: i discepoli sono tenuti ad una certa, particolare forma di comportamento “ecologico”: “Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro”.
Questione molto seria.
Nel Testo Sacro possiamo trovare diverse espressioni che esprimono lo stesso ordine di pensiero:
tra i paralleli cito Luca 10,10-11: “Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Qui è espresso l’invito a compiere un gesto addirittura sulla pubblica piazza: scuotere la polvere contro qualcuno. Leggo il “contro” come “restituire al mittente”, staccarsi, non avendo e non volendo avere nulla a che fare con quella polvere.
In Giosuè 7,6 invece cospargersi il capo di polvere è un segno di lutto: “Giosuè si stracciò le vesti, si prostrò con la faccia a terra davanti all’arca del Signore fino alla sera e con lui gli anziani di Israele e sparsero polvere sul loro capo.”
In Isaia 47,1 sedersi nella polvere è segno manifesto di afflizione estrema: “Scendi e siedi sulla polvere, vergine figlia di Babilonia. Siedi a terra, senza trono, figlia dei Caldei, poiché non sarai più chiamata tenera e voluttuosa”.
In Giobbe 7,21 giacere nella polvere significa senza mezzi termini essere morto. Straordinario è qui il tono della preghiera rivolta al Signore: “Perché non cancelli il mio peccato e non dimentichi la mia iniquità? Ben presto giacerò nella polvere, mi cercherai, ma più non sarò!” – Il grido di un innamorato pentito…
Nel Salmo 72,9 “leccare la polvere” è segno di sottomissione: “Gli abitanti del deserto s’inchineranno davanti a lui, e i suoi nemici leccheranno la polvere.”
Gettare polvere contro qualcuno è segno di orrore; in 2 Samuele 16,13: “Davide e la sua gente continuarono il cammino e Simeì camminava sul fianco del monte, parallelamente a Davide, e, cammin facendo, imprecava contro di lui, gli tirava sassi e gli lanciava polvere”, così come in Atti 22,23 “… continuavano a urlare, a gettar via i mantelli e a lanciar polvere in aria” – gli Israeliti, che si scandalizzavano alla testimonianza di Paolo di Tarso.
Perché i Sinottici riportano queste parole di Gesù sulla polvere? Perché era necessario scuotersi di dosso proprio la polvere della città che non aveva accolto la testimonianza? E perchè il gesto doveva essere pubblico, compiuto nelle piazze?
Cosa succederebbe se quella polvere non fosse scossa via, oggi come allora?
Conservare sui propri abiti i residui del rifiuto della Parola e del rifiuto della testimonianza dei suoi inviati, per l’antico quanto saggio redattore biblico, significava voler correre il rischio di soggiacere agli spiriti immondi: menzogna e violenza.
E’ questo il tipo di polvere che i discepoli sono invitati a non portare addosso e deve essere scrollata via con un gesto che indichi senza mezzi termini la volontà d’intraprendere la via della giustizia.
Anche oggi questo tipo di gestualità simbolica assumerebbe il suo rilievo. Si pensi a tutte le forme di svalutazione della persona che sottilmente, e con ragioni capziose, contagiano le menti più…polverose del nostro tempo: pregiudizi razziali, fobia delle diversità, stereotipi di pensiero che mirano soltanto ad incatenare il prossimo nelle maglie asfissianti dei nostri circuiti neuronali condizionati dal risentimento…Questo è soggiacere agli “spiriti immondi”.
Quando permettiamo che questa polvere si appiccichi alle nostre vesti, o rivesta i passi del nostro cammino perché l’abbiamo attaccata proprio sotto i nostri piedi, dobbiamo intendere l’ordine del Cristo alla lettera. Facciamo pure un gesto semplice, scuotiamo la maglietta come se vi fosse caduta sopra della fuliggine; forse servirà a ricordare di quale pasta siamo fatti: di terra, come Adamo, ma non destinati a finire completamente in polvere, grazie a Dio per l’eredità del Suo Regno.
Il villaggio che non accoglie la Parola nella Bibbia è definito “pagano”: è una vera e propria provocazione.
Gli Israeliti si scrollavano di dosso la polvere “pagana” prima di entrare nella “terra santa”.
In Atti 18,6 quando Paolo lascia la sinagoga di Corinto, scuote la polvere dai suoi vestiti: “Ma poiché essi gli si opponevano e bestemmiavano, scuotendosi le vesti, disse: «Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente; da ora in poi io andrò dai pagani”.
Con queste parole Paolo inverte la consueta pratica di scrollarsi di dosso la polvere: scuote la polvere prima di percorrere il cammino inverso, prima di andare dai gentili (nella casa di Tizio Giusto): chi rifiuta il vangelo in “terra santa” diventa “pagano”, cioè dovrà affrontare per proprio conto il giudizio di Dio. (cfr Atti 13,51).
Quando Gesù proclama il Regno, non dice: “Pentiti perché hai peccato”, perché il peccato non è la questione fondamentale, la questione centrale è la fedeltà. Pentirsi significa dire di no a tutto ciò in cui si è voluto credere e a cui ci si è voluti aggrappare pur di poter abbracciare qualcosa d’altro che è situato nel territorio dell’ingiustizia, nella falsa speranza di poter essere padroni di una casa che non è la propria in esclusiva, di poter essere padroni del mondo, della propria vita, di quella degli altri, di una capacità di giudizio assoluta.
Il pentimento è la chiamata a cambiare idea su … praticamente ogni cosa: a cambiare regno, a cambiare l’ordine del pensare e del sentire. Un’altra “regola” vige per scacciare i demoni e non c’è posto per le menti polverose e corrotte dei sistemi clericali o laici delle leggi e delle ordinanze esteriori.
Pentirsi del peccato? Sì, certo. Ma è molto di più: è un’intera economia, un’intera mentalità, un intero modo di vivere, un intero sistema di cose da lasciare; cambia il modo di esistere, il modo di percepire la propria origine, quello che pensiamo di essere, lo scopo della nostra vita.
E le guarigioni operate sono un segno e, quando avvengono, quel segno è un messaggio: il Regno di Dio è qui, la forza della Sua potenza è all’opera.
“Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare” (Lc 10,19).
Ci risiamo, il serpente, quello delle origini di tutti i guai, l’immondo che s’insinua…lo stesso al quale fu detto: “sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita”.
E se il vangelo di oggi iniziasse proprio come una nuova genesi? “Incominciò a mandarli a due a due”, nuovi Adamo ed Eva col potere di…schiacciare la testa a chi insidia il calcagno. Bisognerebbe lasciare a Dio quel che è di Dio, e al serpente la polvere.
NB: in copertina, Guido Reni, Pietro e Paolo, PD