Tutti i vangeli sono incentrati sulla passione e sulla risurrezione. Il vangelo di Giovanni sembra quasi un conto alla rovescia: tutto converge verso “l’ora”.
“Non è ancora giunta la mia ora” dice Gesù all’inizio del vangelo (Gv 2, 4) a sua madre che lo spinge al centro della scena pubblica durante le nozze di Cana.
“E’ giunto il momento. Ed è questo … ” dice Gesù alla Samaritana. (Gv 4, 23).
Oggi degli stranieri (alcuni greci) cercano di vedere Gesù: “L’ora è venuta”, risponde il Maestro.
Tutte le fasi della Sua vita conducono a questa “ora” cruciale, quella del passaggio da questo mondo al Padre. (Gv 13, 1).
A Cana Gesù ha versato il vino della gioia, in Samaria ha dato la risposta risolutiva ad una donna affaticata, ora a Gerusalemme si manifesta anche agli stranieri.
Ad ogni ora, Gesù entra più profondamente nell’ora: si carica di tutti gli incontri che un uomo può avere in una vita, raccoglie tutte le ore che ha vissuto, per riunificarle in un’ora unica, piena e compiuta, che ha l’aspetto di un presente istantaneo e assoluto. Potrebbe essere sinonimo di “adesso”. Non è facile da immaginare, Gesù evoca perfino la possibilità di una liberazione da quel frangente: “Padre, liberami da quest’ora“. In ogni caso è un’ora da affrontare, una ricapitolazione, ordinata, posta nella mano del Padre. Porta a scoprire che ogni attimo è stato già abitato dal Padre, visitato dallo Spirito e ha la consistenza della carne che l’ha vissuto.
L’ora del Padre è quando ci rendiamo conto che non esiste sfasamento orario tra il tempo del Padre e il tempo della nostra carne, quando ci rendiamo conto che i due tempi coincidono, anzi sono lo stesso tempo. Questa “messa in fase” definitiva nei Vangeli è designata dall’espressione “passione, morte e risurrezione”.
Quando il nostro tempo incarnato, completo del nostro vissuto, qualunque esso sia, si adegua in senso assoluto al tempo di Dio, ogni ora – comprese quelle difficili, complicate, perse, agitate, troppo veloci, troppo lente – si svela nella sua piena dimensione.
Questo dev’essere ciò che deve aver vissuto il bandito crocifisso accanto a Gesù: la sua vita devastata dal crimine si compie attraverso il riconoscimento del Cristo e passa in pochi istanti dall’inverno, all’ora, all’adesso della primavera. (Lc 23, 39-43).
Sembra un paradosso, lo so, ma perde tutta l’apparenza del paradosso se pensiamo all’altro bandito: sembra non riconosca il Cristo e non riesca ad appropriarsi del senso della propria ultima terribile vicenda, che addirittura lo accumuna a quello che sta lì accanto a lui e dice di essere il Figlio di Dio.
Qui affiora forse anche uno degli aspetti più tragici della libertà che appartiene all’uomo e alla donna: non volere riconoscere il Cristo, non mollare, non chiedergli neanche di presentarsi. Questo è il punto: non siamo noi a poter incontrare il Cristo, tramite i nostri ragionamenti, è Lui che si manifesta, ed è tanto delicato da farlo solo se uno lo cerca e glielo chiede …
Quando Gesù parla della sua prossima ora, non evoca una tragedia personale, parla dell’esperienza che – a vari livelli – conoscono tutti quelli che sono aperti alla vita.
Qualsiasi essere che circoli in questo mondo come una persona vivente e non come un morto che cammina, sa che sta andando verso la “sua” ora: un istante in cui sarà messo alle strette, interrogato, dove tutte le ore della sua vita, specialmente quelle che gli sembravano prive di senso, acquisteranno tutto il loro significato e saranno “giustificate”: l’ora in cui tutti i pendoli saranno rimessi all’ora esatta e dunque suoneranno al momento giusto.
Prima di arrivare alla sua ora, Gesù ha già conosciuto le ore dell’accusa, dell’ostilità. Sa qual è la posta in gioco: la vita di ogni essere umano.
La passione che si avvicina, la prova, la morte porteranno a compimento tutte le ore episodiche della sua esistenza terrena, così come accade per ogni persona: i molteplici episodi in cui siamo in contrasto con le logiche circostanti, in cui siamo malvisti, sgraditi, un giorno culminano in un “affare” più preciso e minaccioso: l’ora si avvicina, ed è l’ora in cui le scelte fatte a tastoni possono diventare scelte deliberate.
Si rischia, secondo le situazioni, la pelle, la reputazione, la posizione, la faccia, il futuro, la credibilità, si può andare verso un sì e verso un no e allo stesso tempo si ha la piena consapevolezza, di non voler agire diversamente.
Mentre Gesù passa da questo mondo al Padre, attesta che nulla è perduto nelle nostre vite, per chi resta nel Padre. “Chi perde la sua vita in questo mondo la conserva per la vita eterna”: perdere la vita, in senso lato, cioè nel senso di qualsiasi perdita che appaia impossibile da vivere o da tollerare, non è una rinuncia stoica al mondo o un atto di eroismo; è “sapere” che il mio pendolo sta scoccando l’ora esatta, quella che assicura la vita, perché lo Spirito ha già glorificato la vita e di nuovo la glorificherà. (Gv 12,28).
È un modo per dire che tutto finisce per sistemarsi?
Sì, perché è l’ora in cui le apparenze non hanno più corso. Si risorge. Ci vogliono “tre giorni”, un lasso di tempo, perché tutto questo si manifesti … e non tutti ci crederanno.
Gesù morì sulla croce e fu posto nel sepolcro dove rimase per tre giorni.
Quale puntualità è, quella del Padre? Quando Gesù viene crocifisso, i passanti gli dicono di scendere di lì, Lui potrebbe farlo se fosse veramente il Figlio del Dio!
L’ora del Padre è … una lieta continuazione, non giunge come un lieto fine alla maniera dei film romantici o della cavalleria all’ultimo minuto.
“Sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!” (2 Cor 6,9-10).
L’ora del Padre è quella in cui mi affido, chiedo e scopro di essere un uomo libero che non ha più dubbi su chi custodisca la sua vita.